di Aldo BaquisTEL AVIVAll’indomani dell’annuncio di Donald Trump dell’accordo sulla tregua a Gaza e sullo scambio di prigionieri e ostaggi, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha dovuto misurarsi con una serie di imprevisti che lo hanno costretto a rinviare il voto di approvazione al governo. Ma la realizzazione dell’accordo, viene assicurato da fonti ufficiali, non è in discussione e i primi ostaggi israeliani dovrebbero tornare liberi domenica, o forse lunedì, se ci fossero altri intoppi.
Il primo ostacolo che Netanyahu si è visto parare nella notte di mercoledì riguardava la lista di 110 palestinesi, condannati all’ergastolo per terrorismo, che Israele dovrà rilasciare in cambio degli ostaggi feriti o malati. Lo Shin Bet, il servizio di sicurezza, ha vagliato ciascun nominativo e sono così venuti a galla alcuni nomi che Israele afferma di non poter accettare. Netanyahu ha allora premuto il freno e ha annunciato che la riunione del gabinetto, fissata per ieri, doveva slittare fino alla risoluzione della questione. Per tutta la giornata fra Gerusalemme e Doha, in Qatar, sono stati scambiati messaggi e la questione si è risolta: tutte le parti, secondo media arabi, hanno firmato. Il gabinetto interno sarà convocato oggi e il governo nella serata di sabato. Tecnicamente in tempo, dunque, per mettere in moto l’applicazione degli accordi, fissata per domenica: ossia per il giorno precedente l’investitura del presidente Donald Trump.
Ma il secondo ostacolo, rivelatosi più impegnativo del previsto, riguardava l’opposizione della destra nazionalista all’accordo sulla tregua. Il ministro per la sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir e il ministro delle finanze Bezalel Smotrich hanno accusato Netanyahu di aver abbandonato uno degli obiettivi principali mantenuti nei 15 mesi di guerra: lo sradicamento definitivo, militare e politico, di Hamas a Gaza. "Si tratta di un accordo irresponsabile, che prevede la liberazione di centinaia di terroristi, il ritiro dall’Asse Filadelfia (confine Gaza-Egitto), e anche la fine della guerra mentre Hamas ancora non è stato sconfitto" ha affermato Ben Gvir. Se il governo approverà quell’accordo, ha aggiunto, il suo partito, ‘Potere ebraico’ (6 deputati su 120) passerà all’opposizione. Da parte sua, Smotrich ha chiesto a Netanyahu di impegnarsi fin d’ora a riprendere la guerra in grande stile al termine della prima fase dell’accordo: ossia dopo la liberazione di 33 ostaggi (su un totale di 98).
Il premier non ha voluto sbilanciarsi, ben comprendendo che i Paesi mediatori (Usa, Qatar, Egitto) si attendono da lui che prosegua negli accordi in tutte le loro tre fasi. In caso contrario, teme, Israele dovrebbe pagare un prezzo politico pesante. In serata Netanyahu ha convocato Smotrich in un ulteriore tentativo di impedire che si unisca ai venti di fronda di Ben Gvir.
Nelle strade il Paese è diviso. Ieri a Gerusalemme famiglie di ostaggi legate alla destra hanno dimostrato contro la tregua: "Sì alla vittoria – hanno scandito, in evidente sintonia con Smotrich e Ben Gvir. – No alla resa". Ma in serata altre famiglie di ostaggi, vicine alla sinistra, hanno espresso gratitudine a Trump per l’accordo su Gaza e hanno ribadito che Israele deve portare a termine gli accordi "fino alla liberazione dell’ultimo ostaggio".
Secondo un sondaggio curato dalla tv commerciale Canale 13, gli israeliani vedono nell’accordo il male minore. Per il 46% esso è "negativo" (i pareri positivi sono il 31%). Ciononostante, il 61% ritiene che Israele debba aderire al documento giunto dal Qatar e la stessa percentuale dice a gran voce: "Questa guerra deve finire". Ma chi è uscito vincente? "Israele", secondo il 31%. "No, Hamas", replica il 29%. Tutti gli altri non hanno ancora definito un’opinione conclusiva.