Roma, 23 ottobre 2023 – “Se c’è qualcuno che può ottenere la liberazione degli ostaggi questo è il Qatar. Quando nel 2011 iniziò la guerra in Siria, Hamas si schierò contro il regime di Assad, e il suo vertice lasciò Damasco a favore di Doha, che diventò così sempre più il riferimento politico dell’organizzazione palestinese, finanziandola anche generosamente, il che gli ha dato e gli dà una grandissima presa a Gaza. Questo ruolo di supporto spiega perché ora possa aspirare ad essere un interlocutore credibile tra Hamas e Israele, che a sua volta ne riconosce la politica autonoma e la vicinanza agli Stati Uniti per il rilascio degli ostaggi". Così il professor Arturo Marzano, docente di storia del Medio Oriente all’Università di Pisa.
Professore, il Qatar conta più dell’Iran per Hamas?
"Il Qatar è un Paese autonomo dall’Iran, del quale anzi teme le grandi ambizioni regionali. E anche Hamas è autonoma, è una organizzazione nazionalista palestinese interna, nasce durante l’intifada e ha come obiettivo la liberazione dei territori. Ha scelto la lotta armata, incluso il il terrorismo. Poi, vista la situazione, ha accettato aiuti da tutti, Egitto fino a quando c’era Morsi, Turchia, Qatar e, certo, anche Iran. Però quando l’Iran ha scelto Damasco, Hamas ha deciso altrimenti. Non è Hezbollah in Libano che è legata doppio filo all’Iran".
Però le armi di Hamas vengono dall’Iran.
"Direi di si, e l’Iran la finanzia pure. Per Teheran Hamas è utile in funzione anti-israeliana. Ma non è il suo braccio armato. Hamas ha fatto l’attacco del 7 ottobre non perché glielo ha chiesto l’Iran ma innanzitutto per provare a costringere Israele a rimettere la questione palestinese al centro, poi per ricordare, nel 50° anniversario del Kippur, che la sicurezza che Israele non l’aveva allora e non ce l’ha neppure adesso, se non si aprirà un negoziato globale. E poi certo, per la volontà, condivisa con l’Iran, di far saltare l’allargamento degli accordi Abramo".
Il ruolo di ponte che sta svolgendo il Qatar può andare oltre la liberazione degli ostaggi?
"Il Qatar può far avvicinare le parti, ammorbidire Hamas, però il ruolo fondamentale in una eventuale, ipotetica, futura trattativa di pace è e resta quello degli americani, che sono l’unica garanzia per Israele, e sono i soli che possono fare pressioni reali su Tel Aviv. La questione dell’occupazione dei territori è l’elefante nella stanza. Senza, non se ne esce".
Ma il Qatar può convincere Hamas ad abbandonare il terrorismo e accettare l’esistenza dello Stato di Israele, che oggi nega?
"Nel breve periodo no. Al momento Hamas non si accontenterebbe di uno Stato palestinese a Gaza e Cisgiordania. In futuro, chissà. Ma nel suo statuto del 2017 Hamas ribadisce che il fine dell’organizzazione è liberare dall’occupazione israeliana tutta la Palestina storica, però nell’articolo 20 si legge la seguente frase: “Hamas considera la creazione di uno Stato palestinese, con Gerusalemme come capitale sulla falsariga del 4 giugno 1967, con il ritorno dei rifugiati e degli sfollati, come una formula di consenso nazionale“. Quindi ci sono anche segnali pragmatici dentro Hamas. O, forse, c’erano".
Condivide quanto scrisse il quotidiano israeliano Maariv, cioè che Netanyahu ha usato Hamas in funzione anti Autorità palestinese?
"Sostanzialmente sì. L’obiettivo principale era non cambiare lo status quo e continuare con la colonizzazione in Cisgiordania rendendo impossibile lo Stato palestinese. Per far questo serviva avere una autorità palestinese debole. E tollerare la presenza di Hamas nella Striscia, favorendo anche i finanziamenti da parte del Qatar, serviva a questo. A dividere i palestinesi. Ma il calcolo è stato spezzato dall’attacco del 7 ottobre, del quale Netanyahu non riteneva capace Hamas".
Hamas, un manuale per gestire gli ostaggi
Per iscriverti al canale WhatsApp di Qn clicca qui