In seguito alla divulgazione dettagliata da parte di Joe Biden delle proposte israeliane per uno scambio di prigionieri con Hamas e per una tregua duratura, il premier Benjamin Netanyahu è impegnato in casa a serrare le fila per raccogliere tutto il sostegno possibile a quel progetto, che resta comunque condizionato ad una ancora attesa approvazione esplicita da parte di Hamas. E incassa subito il sostegno del presidente Herzog.
Biden si rende perfettamente conto della complessità della politica interna israeliana e dunque – mentre due ministri di estrema destra, Itamar ben Gvir e Bezalel Smotrich, hanno già espresso una totale contrarietà – un consigliere di Netanyahu, Ophir Falk, ha trovato opportuno ribadire che quello illustrato da Biden "è l’accordo che abbiamo approvato. Non è buono, ma noi vogliamo assolutamente la liberazione degli ostaggi": 125 israeliani trattenuti a Gaza dal 7 ottobre, dispersi secondo l’intelligence in decine di località segrete e guardati a vista da miliziani armati. Solo un accordo potrebbe dunque riportarli a casa.
"Ci attendiamo che se Hamas accetterà la proposta – ha detto il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale Usa, John Kirby – che anche Israele la faccia sua". Falk ha tuttavia rilevato che anche se il quadro generale è stato delineato "molti dettagli devono ancora essere definiti". Intanto si attende che dal suo nascondiglio nel sud della Striscia il leader di Hamas Yihya Sinwar, faccia sentire il proprio giudizio. Una fonte di Hamas citata dai media ha confermato che nel progetto menzionato da Biden ci sono alcuni elementi positivi. Hamas comunque insiste per avere garanzie circa la fine della guerra e per avere certezza che continuerà a svolgere un ruolo attivo a Gaza anche dopo la fine del conflitto. Rassicurato su quei punti, secondo la fonte, Hamas potrebbe allora mostrare duttilità sugli altri aspetti dell’accordo: ad esempio sul numero dei prigionieri palestinesi da rilasciare.
Ma Israele continua a puntare alla sua eliminazione politica definitiva dalla scena. "In nessun caso Hamas resterà al potere a Gaza, stiamo già elaborando una alternativa di governo" ha rivelato il ministro della difesa Yoav Gallant. "Isoleremo intere zone, espelleremo gli uomini di Hamas ed introdurremo altre forze". In apparenza, un riferimento ad un sostegno a potenti clan familiari. Intanto però resta non risolta la questione della gestione del valico di Rafah, dopo la sua occupazione da parte dell’esercito israeliano: l’Egitto anche ieri ha avvertito che resterà chiuso, anche ad aiuti umanitari, fino a quando i soldati non si siano ritirati. Fra le ipotesi studiate, mentre a Rafah proseguono intensi combattimenti, un coinvolgimento dell’Autorità nazionale palestinese o anche di osservatori europei.
Adesso comunque Netanyahu deve affrontare crescenti resistenze nel suo governo al piano illustrato da Biden, senza che in apparenza i suoi ministri ne fossero a conoscenza. Oltre alla opposizione scontata delle due liste di estrema destra, ‘Potere ebraico’ e ‘Sionismo religioso’, un senso di malessere serpeggia nello stesso Likud. "Quel piano – ha denunciato un parlamentare del Likud, Moshe Saada – frantuma il nostro deterrente nella Regione. La maggior parte dei membri del partito si oppongono". Anche nelle liste ortodosse cresce la tensione nei confronti di Netanyahu mentre nove giudici della Corte Suprema hanno preso in esame la spinosa questione della coscrizione obbligatoria per i giovani ortodossi, anche alla luce delle nuove esigenze createsi nell’esercito per le perdite di militari dal 7 ottobre.
Secondo un sondaggio di opinione della televisione pubblica Kan il 40 per cento degli israeliani sostengono il progetto descritto da Biden, mentre il 27 per cento si oppongono. Diversamente da Netanyahu, il 40 per cento ritiene che quel piano significherebbe di fatto la fine della guerra ed il 42 per cento è persuaso che Hamas continuerà a governare Gaza anche in futuro. In sostanza, gli israeliani sembrano scettici – appunto come Biden – circa le probabilità del governo Netanyahu di conseguire una "vittoria assoluta" a Gaza.