Giovedì 2 Gennaio 2025
BRUNO VESPA
Esteri

Iraniano in cella a Milano. L’ipotesi dell’espulsione. Ma il tempo adesso stringe

L’ingegnere potrebbe essere allontanato dall’Italia, la cronista da Teheran. La soluzione dello scambio va approntata prima dell’insediamento di Trump

Paola Amadei, ambasciatrice a Teheran, è stata ricevuta al ministero degli Esteri iraniano

Paola Amadei, ambasciatrice a Teheran, è stata ricevuta al ministero degli Esteri iraniano

Cecilia Sala non è una spericolata dilettante come quelle che in passato sono andate a cacciarsi in guai da cui l’hanno salvate a caro prezzo (contante) i nostri governi. Cecilia è una brava professionista e nonostante la giovane età ha una grande esperienza di situazioni più difficili di un reportage in Iran per il quale aveva chiesto tutte le autorizzazioni necessarie. A quanto ne sappiamo, si è mossa in modo trasparente comunicando perfino preventivamente alcune interviste che ha fatto.

L’accusa di aver violato le leggi islamiche è così generica da mascherare la ragione vera del suo arresto: un ostaggio da scambiare con l’ingegnere iraniano Mohammad Abedini, arrestato a Milano su richiesta del governo degli Stati Uniti che lo accusa di aver realizzato droni che hanno ucciso, tra l’altro, tre militari americani. L’Italia si trova dunque tra l’incudine di una richiesta di estradizione avanzata dagli Stati Uniti e il martello di una richiesta di rilascio di Abedini avanzata dall’Iran come contropartita (nascosta, ma trasparente) per il rilascio di Cecilia Sala.

Com’era scontato, l’Iran gioca duro: dice che il suo ingegnere è innocente e la nostra giornalista è colpevole. Falso, ma inevitabile. Come uscirne? L’Italia ha avuto sempre buoni rapporti con l’Iran. Nel ’53, quando la nazione si chiamava ancora Persia, dopo la nazionalizzazione del petrolio, per i contrasti con il primo ministro Mossadeq, lo Scià dovette fuggire e si rifugiò a Roma con la moglie Soraya, diventando un protagonista della Dolce Vita prima di essere riportato sul trono dagli americani. Anche dopo l’arrivo al potere di Khomeini nel ’79, i nostri rapporti son rimasti buoni al punto che si attribuisce proprio a questo la nostra esclusione dal gruppo anglo-americano-francese per il controllo del riarmo nucleare dell’Iran.

Gli iraniani attribuiscono a queste favorevoli relazioni il rilascio di Alessia Piperno, avvenuto il 10 novembre del ’22, venti giorni dopo l’insediamento del governo Meloni. La Piperno era stata per 45 giorni rinchiusa nel carcere di Evin, "quell’angolo d’inferno" – così l’ha definito – dov’è ospitata Cecilia Sala, in condizioni incomparabilmente peggiori di quelle di cui gode Abedini nel carcere milanese di Opera. Gli americani non vogliono che l’ingegnere vada agli arresti domiciliari perché ci siamo fatti scappare troppa gente, anche se in questo caso un cordone di polizia intorno all’appartamento consolare in cui verrebbe ospitato il detenuto renderebbe avventurosa una fuga.

Esistono appigli giuridici per liberare Abedini: al contrario degli americani, l’Unione europea non considera terroristi i pasdaran iraniani e in ogni caso il ministro della Giustizia – unico caso in cui può sovrapporsi alla magistratura – può revocare l’ordine d’arresto a fini ’estradittivi’. Una formula efficace, ma più neutra consisterebbe nell’espulsione dell’ingegnere iraniano contestuale a quella della Sala. Un dito negli occhi degli Stati Uniti?

Gli americani sono stati sempre molto attenti a riportare a casa i loro uomini coinvolti in situazioni delicate. Valga per tutti la strage del Cermis del 1998: violando ogni regola un aereo militare americano tranciò i cavi di una funivia uccidendo venti persone. Nonostante i magistrati trentini avessero impedito un occultamento delle prove già in atto, i piloti rientrarono negli Stati Uniti dove furono assolti. Meglio chiudere dunque la pratica con l’amministrazione Biden (il presidente uscente sarà in Italia il 9 gennaio), perché il primo gesto di Trump difficilmente sarebbe distensivo nei confronti del regime iraniano.