Giovedì 21 Novembre 2024
ALESSANDRO FARRUGGIA
Esteri

Iran al bivio: “Pronti a rispondere”. Ma monta lo scontro tra falchi e colombe

La ricercatrice Sabahi: pragmatismo denominatore comune fra le due anime. Nuovi attacchi d’Israele potrebbero favorire l’ala degli ultraconservatori

Roma, 30 settembre 2024 – L’Iran è un brutale regime dai piedi d’argilla pur se dalla retorica roboante. Buono solo nella repressione del crescente dissenso interno, ma dalle capacità militari ormai scarse. E così, dopo l’uccisione di Nasrallah la strada intrapresa degli ayatollah è oggi quella della condanna a parole. Truci, ma nulla più.

“Tutti – ha minacciato ieri il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi – dovrebbero essere consapevoli del fatto che la situazione è assolutamente esplosiva e che tutto è possibile, anche la guerra. Di certo l’uccisione da parte di Israele del vice comandante del distaccamento Corpo dei Guardiani della Rivoluzione iraniane in Libano, Abbas Nilforoushan non rimarrà senza risposta”. Il che significa tutto e nulla. “L’Iran sosterrà Herbollah fino alla liberazione della Palestina e di Gerusalemme”, ha rincarato la dose il generale Esmail Quaani, comandate della forza Quods, unità d’elite dei Guardiani della rivoluzione. Ma senza andare in guerra.

La verità è che in Iran, come ricordava ieri il New York Times dopo aver sentito quattro esponenti del regime, il sistema di potere è diviso. I conservatori all’interno della leadership di Teheran – guidati da Saed Jalili e dal fronte Paydari, e naturalmente dai Guardiani della Rivoluzione – stanno spingendo per una forte risposta, mentre i moderati, guidati dal nuovo presidente iraniano Masoud Pezeshkian, chiedono prudenza “per non fare il gioco di Israele» e la Guida Suprema Khamenei si pone su una linea mediana, dicendo che la risposta per la morte di Nasrallah ci dovrà essere «ma spetta a Hezbollah farla”.

L’uomo della politica sul solco di Khomeini
Proteste in Iran dopo l'uccisione di Nasrallah

“L’Iran – osserva la professoressa Farian Sabahi, ricercatrice dell’università dell’Insubria – non è una dittatura tout court, ma una oligarchia di ayatollah e pasdaran. In questo senso, ci sono tante correnti diverse, che portano avanti politiche differenti. È quindi ovvio che ci siano falchi e moderati. Il pragmatismo resta comunque un denominatore comune”. "Qualche mese prima di morire, nel 1989 – spiega la professoressa Sabahi – l’Ayatollah Khomeini ribadì che la parola d’ordine doveva essere l’interesse nazionale, a costo di calpestare i principi dell’Islam. In base a questo pragmatismo, oggi la leadership della Repubblica islamica è consapevole che per preservarsi deve evitare, a tutti i costi, un confronto militare diretto con Israele, la cui superiorità militare è ovvia anche tenuto conto del recente finanziamento dell’amministrazione Biden per finanziare la guerra in Medio Oriente”.

Ma qualcosa nel regime e non più solo nelle piazze si muove. “Le fazioni più moderate di Teheran – osserva la docente – stanno cercando di riprendere i negoziati con l’Occidente, come dimostra il team che ha accompagnato il neo presidente iraniano Masoud Pezeshkian all’Assemblea generale delle Nazioni Unite: accanto al neo presidente riformatore c’erano il vice presidente per gli Affari Strategici Javad Zarif (nel 2015 era ministro degli Esteri e aveva concluso l’accordo nucleare con Barack Obama) e l’attuale ministro degli Esteri Araghchi (nel 2015 era il vice di Zarif)”.

Ulteriori attacchi israeliani potrebbero però mettere i moderati iraniani in difficoltà e ridare fiato ai falchi. Un classico della strategia del ’tanto peggio, tanto meglio’ di chi punta a una soluzione militare.