Mercoledì 2 Ottobre 2024

Iran, i retroscena sull’attacco a Israele. “Ordinato da Khamenei, il presidente Pezeshkian informato solo poco prima dell’inizio”

Il New York Times: “Il Mossad, le unità cyber di Israele, l'Unità 8200 e l'Aeronautica militare israeliana sono penetrati nel regime iraniano. Ciò significa che nessun leader iraniano può fidarsi più dell'altro"

New York, 2 ottobre 2024 - L’Iran è sull’orlo del caos, con gli equilibri interni ormai degradati. I retroscena dell’attacco a Israele, il contesto e le forme con le quali è maturato, delineano un Paese fortemente spaccato, tra riformisti e conservatori e all’interno dello stesso campo conservatore. Il New York Times, citando fonti israeliane, riferisce che il presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, è stato informato del raid lanciato ieri sera solo "poco prima che iniziasse" e ciò dimostra che il "regime iraniano era diviso sull'operazione" e "probabilmente aumenteranno le divisioni nel governo".

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Il quotidiano, citando sempre fonti israeliane, ha confermato che l'attacco è stato eseguito dall'Aeronautica dei Guardiani della Rivoluzione, che rispondono direttamente alla Guida Suprema Ali Khamenei, e non è stata un'operazione dell'esercito regolare.

La Guida Suprema iraniani Ali Khamenei (foto Ansa)
La Guida Suprema iraniani Ali Khamenei (foto Ansa)

"La capacità di Israele di anticipare l'attacco iraniano e di indicare l'ora precisa dell'attacco, e il fatto che si sia trattato di un'operazione dei Guardiani della Rivoluzione, dimostra quanto profondamente il Mossad, le unità cyber di Israele, l'Unità 8200 e l'Aeronautica militare israeliana siano penetrati nel regime iraniano - ha aggiunto il Nyt -. Ciò significa che nessun leader iraniano può fidarsi più dell'altro", ha aggiunto il Nyt.

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Oggi Khamenei, ha incontrato un gruppo di élite a Teheran e ha attribuito la tensione e le guerre regionali agli "Stati Uniti e ad alcuni paesi europei" che "affermano falsamente di portare pace e tranquillità nella regione". Khamenei ha detto che i rappresentanti di tutti questi Paesi devono "andarsene" dalla regione in modo che gli Stati dell'area possano vivere in pace. La Guida suprema iraniana ha quindi ricordato di essere "in lutto" per la morte del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, ma ha deciso di non rimandare il suo incontro con le élite perché il lutto dell'Iran è una forza "rinvigorente e trainante".

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Mostrare i muscoli, senza voler scatenare una guerra aperta con il nemico di sempre: è questa la linea che alla fine un riluttante Ali Khamenei ha deciso di adottare, pressato dai falchi che gli chiedevano di approvare una rappresaglia forte per gli omicidi di Hassan Nasrallah e Ismail Haniyeh. Ma si è trattato forse di un azzardo, nella misura in cui Israele ha già assicurato che risponderà con la forza. 

Del resto nelle riunioni d'emergenza convocate per fare il punto della situazione sono emerse profonde spaccature nell'establishment, secondo quanto ha ricostruito il New York Times. Khamenei, anche nei suoi interventi pubblici, aveva chiarito che sarebbe stato Hezbollah a vendicare il suo leader e che l'Iran avrebbe soltanto fornito "supporto". Nello stesso modo si era espresso il capo dei Pasdaran, il generale Hossein Salami, inviando un membro dell'élite del suo corpo a Beirut per aiutare Hezbollah a risollevarsi.

Ancora più concilianti i toni adottati dal presidente Masoud Pezeshkian all'Assemblea Generale dell'Onu: Teheran, aveva assicurato, sarebbe stato pronto "a deporre le armi se Israele avesse fatto lo stesso". Una linea all'insegna del pragmatismo. Ma sul fronte opposto a Teheran c'è una fetta influente del regime preoccupata per i continui segnali di debolezza fin qui mostrati di fronte alle potenze rivali in Medio Oriente (non solo Israele, ma anche le monarchie sunnite). Una fazione in cui spicca l'ultraconservatore Saeed Jalili, che ha esortato a colpire Israele prima che lo facesse il nemico. Una posizione condivisa dall'ayatollah Mohammad Hassan Akthari, secondo cui l'Iran dovrebbe inviare truppe in Libano al fianco di Hezbollah, come aveva fatto per il regime di Assad durante la guerra civile in Siria.