
Da sinistra: Baran Saedi, Leila Pashaei, Souma Mohammadrezaei e Sohaila Motaei
“Dalla rivolta Donna Vita Libertà del 2022, le autorità iraniane percepiscono la diffusa rivendicazione dei diritti da parte di donne e ragazze come una minaccia esistenziale per il sistema politico e la sicurezza dello Stato. Invece di affrontare la discriminazione sistemica e la violenza contro donne e ragazze, stanno cercando di schiacciare il movimento per i diritti delle donne”. A dichiararlo è Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord, alla vigilia di un’importante sessione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite per esaminare la situazione in Iran.
La denuncia di Amnesty International
Amnesty International denuncia arresti arbitrari, torture e condanne a morte nei confronti di chi difende i diritti delle donne. “Le autorità iraniane hanno intensificato la repressione contro coloro che difendono i diritti delle donne, giornalisti, cantanti, attiviste e attivisti che chiedono uguaglianza o sfidano l’obbligo del velo”.
L’associazione ha documentato il ricorso a detenzioni arbitrarie, procedimenti giudiziari ingiusti, frustate e persino condanne a morte, nel tentativo di soffocare il movimento per i diritti delle donne in Iran. Dall’8 marzo, Giornata internazionale della donna, le autorità iraniane hanno arrestato arbitrariamente almeno cinque persone attiviste per i diritti delle donne. Questi arresti si inseriscono in una repressione sempre più intensa, che ha compreso anche la convocazione per interrogatori di attivisti e giornalisti e l’arresto di cantanti donne per essersi esibite senza il velo obbligatorio, con la conseguente chiusura dei loro account sui social media.
Nei giorni precedenti l’8 marzo, le autorità hanno sottoposto a 74 frustate un cantante per aver interpretato un brano di protesta contro le leggi discriminatorie sull’obbligo del velo e, nel febbraio 2025, hanno condannato a morte un’attivista per i diritti delle donne.
Al consiglio dei diritti umani dell’Onu si parla di Iran
Il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite il 18 marzo esaminerà la situazione dei diritti umani in Iran, nel contesto delle trattative in corso per il rinnovo dei mandati della Relatrice speciale sull’Iran e della Missione d’inchiesta dell’Onu sull’Iran. “La comunità internazionale deve opporsi all’impunità e difendere i diritti delle donne e delle ragazze iraniane”, prosegue Eltahawy. “Gli Stati devono usare la loro influenza per fare pressione sulle autorità iraniane affinché cessino le persecuzioni contro gli attivisti e le attiviste per i diritti delle donne e scarcerino immediatamente coloro che sono in detenzione arbitraria. Devono inoltre perseguire vie legali per chiamare a rispondere i funzionari iraniani ragionevolmente sospettati di aver commesso violazioni dei diritti umani diffuse e sistematiche contro donne e ragazze, anche attraverso l’imposizione del velo obbligatorio”. I mandati della Missione d’inchiesta e della Relatrice speciale sono in scadenza e il loro rinnovo sarà discusso nell’attuale 58ma sessione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, iniziata il 24 febbraio e che terminerà il 4 aprile.
La repressione in occasione dell’8 marzo
Nei giorni precedenti la Giornata internazionale della donna, le autorità iraniane hanno minacciato le donne, avvertendole di non riunirsi e di non rivendicare i propri diritti. Il 10 marzo agenti del ministero dell’Intelligence hanno arrestato Leila Pashaei, Baran Saedi, Sohaila Motaei e Souma Mohammadrezaei, quattro attiviste curde per i diritti delle donne che avevano partecipato agli eventi dell’8 marzo nella provincia del Kurdistan. Le quattro donne sono detenute arbitrariamente in isolamento in un centro di detenzione a Sanandaj, nella stessa provincia, e sono state sottoposte a interrogatori senza la presenza dei loro avvocati. Baran Saedi è stata arrestata nell’abitazione di famiglia a Sanandaj. In precedenza, era già stata in detenzione durante la rivolta Donna Vita Libertà del 2022 e scarcerata su cauzione dopo due mesi. Souma Mohammadrezaei è stata arrestata sul posto di lavoro a Sanandaj. In passato, era stata più volte convocata e minacciata a causa del suo attivismo per i diritti delle donne. Sohaila Motaei è stata arrestata a Dehgolan. A gennaio era già finita in carcere per un breve periodo per aver protestato contro le condanne a morte di donne detenute. Anche durante la rivolta Donna Vita Libertà era stata arrestata e successivamente condannata a cinque anni di carcere con l’accusa, tra le altre, di “diffusione di propaganda contro il sistema”. Era poi stata scarcerata a seguito di un’amnistia. Leila Pashaei è stata arrestata nella sua abitazione a Sanandaj, dopo aver denunciato pubblicamente l’obbligo del velo, i matrimoni precoci e forzati, la violenza contro le donne e le esecuzioni capitali durante un evento nella Giornata internazionale della donna.
Nel suo intervento aveva dichiarato: “Le donne in Iran sono prigioniere di autorità che temono il potere delle donne… Il movimento delle donne ha superato il punto di non ritorno… Le donne di tutto il mondo, e in particolare in Medio Oriente, non saranno mai più messe a tacere”.
Arresti e perquisizioni
L’11 marzo Nina Golestani, scrittrice e attivista per i diritti delle donne, è stata arrestata arbitrariamente nella casa dei suoi genitori, nella provincia del Gilan, da agenti dell’unità d’intelligence dei Guardiani della rivoluzione islamica.

Secondo quanto dichiarato dal marito Javad Sajadi Rad su Instagram, gli agenti hanno fatto irruzione nell’abitazione, perquisendo la moglie e confiscando i suoi effetti personali. Poi l’hanno portata via per interrogarla e successivamente l’hanno trasferita nella prigione di Lakan, a Rasht. È stata scarcerata su cauzione il 16 marzo. Il 7 marzo, il giorno dopo che alcune giornaliste avevano partecipato a un evento mediatico a Teheran senza il velo, l’agenzia di stampa della magistratura “Mizan” ha pubblicato una dichiarazione definendo il loro comportamento “contrario alla decenza pubblica”. Le giornaliste sono state interrogate nell’ufficio della procura all’interno del carcere di Evin, a Teheran, e sono stati avviati procedimenti giudiziari nei loro confronti.
Il 5 marzo è stata eseguita la condanna a 74 frustate nei confronti del cantante Mehdi Yarrahi a causa della canzone Il tuo velo (Roosarito), composta per il primo anniversario della rivolta Donna Vita Libertà. Il 27 febbraio la cantante Hiwa Seyfizade è stata arrestata durante un’esibizione dal vivo a Teheran. Un funzionario ha annunciato che l’arresto è avvenuto per “canto solista non autorizzato”, pratica vietata alle donne in Iran. È stata scarcerata su cauzione il 1° marzo. Il suo account su Instagram è stato successivamente chiuso e sulla sua pagina sono comparsi due post della polizia con la scritta: “Questa pagina è stata bloccata [su ordine delle autorità giudiziarie] per la pubblicazione di contenuti criminali”.
La condanna a morte di Sharifeh Mohammadi

A febbraio l’attivista per i diritti delle donne Sharifeh Mohammadi, già in carcere, è stata condannata a morte per la seconda volta con l’accusa di “ribellione armata contro lo stato” (baghi), unicamente per le sue attività in difesa dei diritti umani, compresa la difesa dei diritti delle donne. La Corte suprema aveva annullato una precedente condanna a morte emessa da un tribunale rivoluzionario nell’ottobre 2024, rinviando il caso ai tribunali inferiori. Il 14 dicembre 2024, la cantante Parastoo Ahmadi è stata arrestata dopo aver trasmesso in diretta un concerto in cui si era esibita in pubblico senza velo, indossando un abito con le spalle scoperte. Il video era diventato virale, raggiungendo due milioni e mezzo di visualizzazioni. È stata scarcerata su cauzione poche ore dopo. Il 13 dicembre 2024 il difensore dei diritti umani Reza Khandan è stato arrestato per scontare una condanna ingiusta, emessa a causa della sua campagna contro l’obbligo del velo. Reza Khandan, marito dell’avvocata Nasrin Sotoudeh, era stato condannato a sei anni di reclusione da un tribunale rivoluzionario nel gennaio 2019.
Le leggi iraniani sull’obbligo del velo
Le leggi iraniane sull’obbligo del velo, che si applicano a partire dai sette anni di età, violano una serie di diritti fondamentali, tra cui il diritto all’uguaglianza, alla libertà di espressione, di religione e di credo, alla privacy, alla non discriminazione e all’autonomia personale e fisica. Queste leggi infliggono inoltre gravi sofferenze fisiche e psicologiche, che equivalgono a maltrattamenti e torture. Nel suo rapporto del marzo 2024, la Missione d’inchiesta delle Nazioni Unite sull’Iran aveva concluso che le autorità iraniane erano responsabili di “una serie di atti estesi, sistematici e tuttora in corso che, singolarmente, costituiscono violazioni dei diritti umani nei confronti di donne e ragazze e che, nel loro insieme, configurano, secondo la valutazione della Missione, il crimine di persecuzione”.