Roma, 3 ottobre 2024 – Nicola Pedde, direttore dell’Institute for Global Studies e per molti anni direttore della ricerca per il Medio Oriente al Centro Militare di Studi Strategici e Political Advisor del Ministero della Difesa, l’Iran è caduto nel “trappolone“ israeliano?
“Sotto l’impulso del nuovo presidente, l’Iran aveva accettato di non reagire all’uccisione di Haniyeh lo scorso 31 luglio, adottando una linea pragmatica che la stessa Guida ha sostenuto. Poi però sono successe due cose. Prima il fatto che gli americani hanno nicchiato sulla ripresa del negoziato sul nucleare, poi l’uccisione di Nasrallah e l’escalation in Libano hanno cambiato il quadro, facendo pendere la bilancia a favore dei radicali. La decisione poteva essere ancora il non intervento, dimostrando però che il cosiddetto asse della resistenza è fittizio, oppure fare come hanno fatto e cadere esattamente in quella che lo stesso presidente iraniano ha definito una trappola. E cioè fare una azione militare che Israele può sfruttare come presupposto per colpire il suo vero obiettivo strategico, l’Iran”.
Che risposta da parte di Israele si attende contro l’Iran?
“Una risposta importante e invasiva anche perché stavolta Israele è stato colpito anche con missili balistici ipersonici, quindi con la volontà di mettere in difficoltà la difesa aerea. Target erano anche obiettivi civili, compresa la capitale, e non più aree desertiche. Quindi Tel Aviv attaccherà Teheran, gli impianti nucleari, le fabbriche dove si assemblano i missili e altri target sensibili”.
Una risposta israeliana potrebbe provocare una caduta del regime come spera Netanyahu?
“Qui entrano in ballo molti elementi. Sicuramente in Iran è presente un diffuso malcontento della società, ma gli iraniani, pur desiderando un cambiamento, hanno sempre teso a un mutamento non conflittuale. Quello visto in Siria e in Iraq spaventa molto la società iraniana. Non è probabile che con una spallata venga giù tutto il regime”.
Il regime degli ayatollah è però diviso.
“Il Paese è da sempre fortemente diviso e polarizzato, ci sono differenze molto importanti soprattutto all’interno delle due grandi generazioni di comando, la prima è quella che ha fatto la rivoluzione l’altra è quella dei figli della guerra Iran-Iraq, la generazione successiva. La prima generazione è sempre stata pragmatica in politica internazionale, la seconda generazione è invece molto più assertiva e radicale. E all’interno di questo dibattito si inserisce anche il nucleare, perché la prima generazione è sempre stata contraria allo sviluppo di un’arma atomica, mentre la seconda dice che senza un’arma nucleare non avranno mai la credibilità di una deterrenza che sia una protezione del Paese”.
Chi comanda davvero a Teheran?
“La vulgata dice che a decidere è la Guida suprema, ma l’attuale Guida suprema non ha l’aurea di Khomeini. È il decisore ultimo ma non unico. A decidere è l’apparato di potere, collegialmente. Sinora a prevalere era la prima generazione, ma il progredire di questa crisi sta dando ai radicali la possibilità di dire che ogni accordo con l’Occidente è il male. Questo ha portato all’attacco dell’altroieri e potrebbe anche portare a rivedere la strategia sul nucleare. Perchè per il momento la prima generazione ancora non è disponibile a dotarsi dell’arma atomica ma temo che se la crisi dovesse aggravarsi, a Teheran si aprirebbe un dibattito molto serio su questo”.