Roma, 4 marzo 2024 – Marc Lazar, professore a Sciences Po a Parigi e alla Luiss di Roma, come dar seguito agli abbracci dei leader europei a Zelensky domenica scorsa a Londra?
“Il punto è questo, le parole non bastano. O si trova un sussulto o siamo destinati all’irrilevanza”.
Che cosa deve fare l’Europa, anche in vista del Consiglio europeo di giovedì?
“Attualmente nell’Unione europea albergano tre sensibilità diverse: i filo-trumpiani e filo-putiniani come Ungheria e Slovacchia, i più attivi nella difesa dell’Ucraina come Francia e Regno Unito, quelli che stanno nel mezzo e non vogliono rompere con Trump, come la premier Meloni”.
Chi prevarrà?

“Non è facile rispondere, il Consiglio di giovedì avrà un’importanza notevolissima”.
Si dice che l’Europa non può fare a meno degli Usa, ma gli Stati Uniti possono fare a meno dell’Europa?
“Il messaggio che Trump vuole far passare è che per loro l’Europa non è più una priorità”.
L’economia americana permetterà a Trump di gettare a mare il rapporto decennale con il Vecchio continente?
“Il ragionamento non fa una piega, e direi che non è possibile neppure per loro. Ma Trump spesso va per slogan, e lo slogan in questo momento è opposto”.
Ha colpito molto la debolezza della presenza dell’Unione europea in quanto tale: Ursula von der Leyen è sembrata una comparsa, l’Alto rappresentante per gli affari esteri dell’Ue Kaja Kallas è non pervenuta...
“È verissimo, è un fatto che ha colpito enormemente. Direi che von der Leyen ha sbagliato dall’inizio a parlare a Trump di armi e di petrolio, poi ha cambiato idea... Insomma credo ci sia anche un difetto di leadership”.
Contano solo i leader degli Stati.
“Contano solo Starmer, Macron, Meloni e Merz quando diventerà cancelliere”.
L’opzione ’militari sul terreno’ alla lunga le pare inevitabile?
“Credo che sarà non troppo rinviabile. Bisognerà capire sotto che tipo di egida. L’Italia preme per un coordinamento Onu, anche Francia e Regno Unito parlano di una forza da schierare eventualmente solo dopo l’accordo di pace”.
Ma al di là delle bandiere, accade da migliaia di anni che in guerra si muoia, e quello sarebbe uno scenario di guerra. L’opinione pubblica europea è pronta a sobbarcarsi il peso di qualche centinaio di morti?
“La vera domanda alla base di tutto è proprio questa. A parole siamo tutti per l’Ucraina, ma nel concreto l’opinione pubblica europea che tipo di sacrifici è disposta a sobbarcarsi?”.
Lei crede che sarebbe disposta ad accettare vittime?
“Lo trovo complicato. Sia che si parli di sacrifici economici, perché se si vuole il riarmo e aiutare l’Ucraina quei soldi vanno tolti ad altri capitoli di spesa, sia soprattutto se si parla di vite umane”.
La guerra si accetta solo in tv.
“La guerra, la possibilità dei morti in guerra è sparita dal nostro orizzonte di europei dal ’45 in poi. Ci sono tanti film, ne parliamo, ma solo finché è lontana. Quando ci tocca da vicino è un tabù. Ci sono poi due grandi Stati diventati particolarmente pacifisti, per motivi storici, e lì sarà ancora più difficile”.
Sarebbero?
“La Germania e l’Italia”.
Noi siamo sempre stati pacifisti. Mussolini se ne accorse tardi.
“I tedeschi lo sono diventati dopo, ma sono rimasti tali. Per Francia e Regno Unito il discorso è un po’ diverso”.
Parliamo di due ex imperi, oltre che di potenze nucleari.
“In ogni caso anche lì non sarebbe facile spiegare all’opinione pubblica che qualche decina di giovani possano non tornare dal fronte. Non è una situazione semplice”.