Roma, 20 gennaio 2025 – Il premier israeliano Netanyahu dovrà gestire la vicenda delle dimissioni del ministro della Sicurezza nazionale, Ben-Gvir, e degli altri due ministri appartenenti al partito Potere ebraico.
Il contestuale ritiro dei suoi sei parlamentari lascerebbe la coalizione di governo con 59 rappresentanti, al di sotto dei 61 necessari per ottenere la maggioranza. Una mossa che, dunque, può avere conseguenze sulla tregua a Gaza. Ancor più, perché Bezalel Smotrich, altro esponente dell’ultradestra che dopo aver criticato l’intesa ha confermato il proprio impegno con l’esecutivo, ha posto una condizione pesante: “Israele deve occupare Gaza e creare un governo militare temporaneo perché non c’è altro modo per sconfiggere Hamas”. In caso contrario, “rovescerò il governo”, è la promessa del titolare delle Finanze. Di tutto questo ne abbiamo parlato con Pietro Batacchi, direttore di Rivista Italiana Difesa.
Direttore, la spaccatura nel governo israeliano è risolvibile?
“Premettiamo che non è una spaccatura tattica, è reale. Dunque molto difficile da risolvere”.
A quali aspetti dell’accordo è legata?
“Gli israeliani protagonisti dell’azione di protesta puntano a mantenere esplicitamente il controllo di Gaza. Rispetto all’intesa, ad esempio, sono contrari alla cessione dei corridoi di Netzarim e di Filadelfi che vogliono far rimanere sotto l’egida israeliana”.
Che ruolo può avere da oggi la presidenza Trump?
“L’amministrazione Usa è su posizioni vicine a quelle del partito del Likud e in parte della stessa estrema destra. Ricordiamoci che la prima amministrazione Trump ha portato a stracciare gli accordi sul nucleare con l’Iran e spostato la sede dell’ambasciata da Tel Aviv e Gerusalemme”.
Netanyahu non può governare con i voti dell’opposizione, dunque rischiare di andare ad elezioni nei prossimi mesi...
“Esatto, non può permetterselo. Quindi la tregua attuale è molto fragile perché il primo ministro israeliano ha assoluta esigenza di ritrovare un equilibrio con l’estrema destra che fa parte del suo governo”.
Netanyahu ha qualcosa da offrire alla destra o può solo cedere sui termini dell’intesa?
“Questi 42 giorni di tregua previsti dalla prima fase saranno una finestra in cui capire se potrà esserci un’evoluzione positiva. Non credo Netanyahu abbia altri strumenti. Le questioni su cui l’estrema destra si oppone sono sostanziali e la soluzione al momento può stare nel fatto che fra una quarantina di giorni tutto torni come prima”.
Netanyahu potrebbe sostituire questi tre ministri con altre figure della stessa area? Al termine della prima fase però dovrebbe mettere fine all’accordo...
“Giusto, è un’ipotesi realistica ma non possiamo prevederlo sin d’ora. Bisogna letteralmente valutare alla giornata una situazione tanto delicata. Senza dimenticare che, come controparte, c’è Hamas. Hamas che a mio avviso oggi vorrebbe porre finire quanto prima ad una guerra molto impegnativa e contestualmente scongiurare la perdita del controllo di Gaza”.
Hamas è una forza molto radicata a Gaza, a livello non solo militare ma politico.
“Assolutamente. E sono loro oggi a negoziare con Israele. Pensare che non esistano più, nel giro di poco tempo, è solo una fantasia. È stata capace di resistere a un vero e proprio diluvio di bombe che gli israeliani hanno lanciato su Gaza”.
Può farci una stima?
“Su Gaza è caduto un numero impressionante di ordigni, in un anno qualcosa come 100mila bombe. Su una superficie che è più piccola di Roma”.
In conclusione possiamo aspettarci novità già nelle prossime settimane o allo scadere dalla prima fase dell’intesa?
“Questa è una sospensione delle ostilità da vivere giorno per giorno. Le questioni interne ad Israele potrebbero avere conseguenze anche prima di questa scadenza”.