La firma della tregua a Gaza c’è stata. Ma intanto nella Striscia si contano 113 morti dall’annuncio dell’accordo. Durerà? Giovanna Fotia, rappresentante della Ong italiana WeWorld Palestina, è consapevole di quanto sia difficile crederci: "Sono stati commoventi l’euforia e l’entusiasmo dei giorni scorsi, quando continuavano gli attacchi. Soffia la speranza, i dubbi corrono alla stessa velocità. Stanchezza, postumi da eccesso di adrenalina. Si prepara un immenso trasloco nella piccola regione costiera implosa sotto 42 milioni di tonnellate di macerie, undici volte la Grande piramide di Giza. A piedi, a dorso d’asino, su macchine di fortuna con la tacca della benzina in riserva. Bisogna andarsene per potere immaginare un ritorno, immersi fino al collo nelle sabbie mobili della nostalgia".
Dove vanno e come si muovono?"Una carovana di disperati cerca la strada verso Nord osando il primo sorriso dopo 15 mesi, anche se le strade non ci sono più. Stracci arrotolati al posto di una valigia, qualche medicina, un giocattolo rotto. Nessuno si porta dietro niente della vita di prima se non la cosa più preziosa, i pezzi di famiglia che si sono salvati. L’esaltazione di queste prime ore tiene lontano il sospetto: e se non fosse vero?".
La gente crede che sia un esodo verso la pace?"Vuole crederci, anche se prima del ritiro delle truppe israeliane e il rilascio degli ostaggi passeranno giorni. Purtroppo da queste parti il concetto di stabilità è sempre in bilico, il Libano insegna. È una boccata di ossigeno, ma restiamo sul filo del rasoio".
La popolazione di Gaza non esce dall’inferno per andare in un resort, la aspettano altri campi profughi."Ci sono un milione e 900mila sfollati che hanno fatto avanti e indietro a seconda della traiettoria degli attacchi. Schiacciati da un trauma collettivo che non ha precedenti storici. Altre guerre li hanno abituati all’inimmaginabile ma il livello di orrore raggiunto nell’ultimo anno lascerà ferite inguaribili. Oltre al resto, adesso c’è anche il rischio di una forte instabilità sociale, la disperazione è il combustibile ideale per la violenza".
Tregua non significa ritorno immediato a una vita normale. "Non nella desolazione assoluta, anche visiva, che resterà per anni. Non nel paradosso. C’è chi adesso per riabbracciare un figlio o una madre vuole tornare a Gaza, pur sapendo che è già difficile uscirne. Ma quella è casa, il posto del mare bello e del pesce buono. La vita".