Come stai? La voce le si incrina. Parte una citazione, forse voluta o forse no, di Carmen Consoli. "Sono confusa, ma felicissima", dice. Cecilia Sala ieri è tornata dietro a un microfono dopo 21 giorni di prigione in Iran. Ride, intervistata dal direttore editoriale di Chora Media, Mario Calabresi. Anche se "ci vorrà tempo per tornare alla normalità", ammette con un filo di voce che tradisce il peso dell’esperienza. "Devo riabituarmi". Sospira. La giornalista torna davanti ai microfoni di Stories, il suo podcast. E lo fa riprendendo quel filo quotidiano con i suoi ascoltatori in sospeso per oltre tre settimane. Anche perché stava proprio registrando un episodio nella stanza del suo albergo a Teheran, racconta, quando i poliziotti sono venuti a prenderla. "Lo finirò, prima o poi", assicura. Ma non ora. Ora è il momento del racconto. "Ho sentito bussare la porta mentre registravo – ricostruisce –. Pensavo inizialmente che fossero gli addetti alle pulizie. Poi hanno continuato a bussare con insistenza e allora ho capito".
Nel giro di poche ore Cecilia Sala si è ritrovata in una cella di isolamento nel carcere di Evin, senza sapere il perché della sua reclusione. Così iniziano i 21 giorni di detenzione, che nelle sue parole sono fatti di vuoto. Scanditi dal nulla. "Qual è stata la cosa più difficile?", le chiede Calabresi? "Il silenzio, la testa", risponde lei, rivelando poi di essere stata interrogata quasi tutti i giorni. "Ho passato settimane a contare i giorni e le dita, oppure a leggere gli ingredienti del pane, gli unici in inglese". E poi la paura più grande: "Non è stata mai minacciata la mia incolumità, ma – confessa – nella mia testa ho pensato che mi avrebbero potuto uccidere. È una cosa che sogni, sei poco lucida perché non dormi"
Nei momenti di totale oscurità, c’è stata però una conversazione che si è rivelata fondamentale per sopravvivere: l’incontro fatto il giorno precedente alla reclusione con la stand up comedian Zeinab Musavi: "L’ho trovato miracoloso: mi aveva parlato proprio di come fosse vivere in una cella di isolamento e mi aveva raccontato che, anche in quel contesto, era riuscita a ridere. Everything is funny".
"E tu sei ma riuscite a ridere?", incalza il giornalista. "Due volte – ricorda lei –. La prima volta quando ho visto il cielo e poi quando ho sentito il verso buffo di un uccellino". Durante la detenzione ha pensato molto al suo compagno, il giornalista Daniele Raineri ("Riesce a mettere a posto tutti i miei pezzi", sussurra) e alla lettura, a cui non ha potuto accedere fino al penultimo giorno di detenzione, quando le hanno dato una versione in inglese di ‘Kafka sulla spiaggia’ di Haruki Murakami e gli occhiali senza i quali fino a quel momento aveva visto tutto offuscato. "Avevo chiesto un Corano in inglese. La cosa che più volevo – spiega – era un libro: la storia di un altro, qualcosa che mi portasse fuori, perché non riuscivo ad avere tanti pensieri positivi rispetto alle mie prospettive". Nel corso delle ultime giornate, Cecilia ha condiviso la sua cella con un’altra donna, Farzaneh. "Non parlava inglese – racconta – ma ci siamo capite a gesti, con coccole, con abbracci". Durante la prigionia una piccola finestrella vicina al soffitto dava ritmo alle loro giornate: "Abbiamo dato un nome al riflesso e – prosegue – facevamo giochi per tenerci impegnate". Ammette di aver pensato a lei e di pensarci ancora, e a quanto sia stato duro il momento di andarsene sapendo che lei sarebbe rimasta lì, di nuovo sola. E qui la voce le si incrina di nuovo, perché, dice, "a chi è in carcere in Iran pensavo prima di partire, ho pensato mentre ero lì e ci penso ora che ho avuto la fortuna di tornare".
Nonostante l’esperienza, infine, resta vivo nelle parole della giovane giornalista il desiderio di tornare al lavoro per continuare a raccontare il mondo come ha fatto negli ultimi tre anni, senza alcun rancore verso l’Iran. "Io amo la complessità di questo Paese, amo i miei amici, le ragazze. Non è cambiata la mia comprensione dell’Iran e non è non è cambiata cambiato il mio amore, il mio affetto, è aumentata la nostalgia ora che sono qui, ora che sono al sicuro". Il tempo per rimettere insieme i pezzi è arrivato ("Ho bisogno di riposarmi. Non dormo da tre giorni e due notti") e una promessa ai suoi ascoltatori la lascia: tornerà presto a raccontare le sue Stories: "Non c’è nient’altro che io ami fare più di questo".