L’aveva evocato a porte chiuse, ricevendo in Santa Sede un gruppo di palestinesi, adesso il genocidio a Gaza, da più parti imputato ad Israele, il Papa lo esplicita pubblicamente. Ma non come una realtà di fatto acclarata, quanto piuttosto come un’ipotesi da sottoporre ad un’indagine accurata. Francesco interviene sul punto nel suo ultimo libro incentrato sul prossimo Giubileo in un rapido ed interlocutorio passaggio che, se incassa i ringraziamenti dal fronte palestinese, risulta più che sufficiente a suscitare l’irritazione israeliana.
"A detta di alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio – scrive Bergoglio in La speranza non delude mai. Pellegrini verso un mondo migliore, da domani in libreria –. Bisognerebbe indagare con attenzione per determinare se si inquadra nella definizione tecnica formulata da giuristi e organismi internazionalì". Quasi un anno fa, il 22 novembre 2023, ricevendo nel Palazzo apostolico dieci profughi palestinesi, il Papa aveva usato esplicitamente la parola ’genocidio’ per inquadrare l’azione militare del governo Netanyahu nel post 7 ottobre. La Sala stampa vaticana si era affrettata a smentire l’uso del termine incriminato, ma i presenti tennnero il punto. In precedenza, esattamente il 6 novembre, Bergoglio aveva evitato di leggere un discorso ad una delegazione di rabbini intervenuta Oltretevere. Si disse che era colpito da un violento raffreddore, i vertici religiosi ebraici accusarono il colpo. Ora la ferita ebraico-cristiana torna a riaprirsi con un post pubblicato su X dall’Ambasciata d’Israele presso la Santa Sede. "Il 7 ottobre 2023 c’è stato un massacro genocida di cittadini israeliani e da allora Israele ha esercitato il proprio diritto di autodifesa contro i tentativi provenienti da sette diversi fronti di uccidere i suoi cittadini – è l’appunto mosso al Papa in termini impliciti –. Qualsiasi tentativo di chiamare questa autodifesa con qualsiasi altro nome significa isolare lo Stato ebraico".
Resta da chiedersi se davvero tale sia la volontà di Bergoglio, ancor più dopo una sortita che paradossalmente suona come una parziale retromarcia rispetto all’udienza (a porte chiuse) concessa ai profughi palestinesi. "Storicamente i Pontefici hanno sempre espresso preoccupazione per lo stato dei luoghi santi e per il conflitto a volte strisciante e a volte esplosivo in Terra Santa – è l’analisi di Antonello De Oto, docente di Diritto delle religioni e interculturale all’Università di Bologna –. Francesco non sceglie, predica affinché la martoriata Terra Santa trovi la strada della risoluzione permanente. La sua bussola resta quella dei due popoli e due Stati". Che poi è da sempre la via perseguita dalla diplomazia vaticana, anche per questo cauta nel riconoscimento dello Stato d’Israele avvenuto formalmente solo nel 1993. Non una data a caso, ma l’anno degli Accordi di Oslo fra Yitzhak Rabin e Yasser Arafat, quando la soluzione dei due Stati sembrava a portata di mano.
"Grazie Santità per la preoccupazione con cui guarda alle atrocità commesse in Medio Oriente", il presidente della Comunità palestinese di Roma, Yousef Salman, saluta così la richiesta del Papa di andare a fondo sull’ipotesi genocidio. Solo pochi giorni fa il Comitato speciale dell’Onu aveva accusato l’esercito di Tel Aviv di usare "metodi che corrispondono alle caratteristiche di un genocidio". Il Papa chiede un’indagine, non manifesta certezze, se non quelle di far tacere le armi e, come esplicitato settimana scorsa – ricevendo una delegazione di ex ostaggi di Hamas –, di riportare a casa gli israeliani che sono ancora prigionieri. E che tanti proprio in Israele ogni giorno rimproverano a Netanyahu di aver abbandonato al loro destino.