Martedì 7 Gennaio 2025
ALDO BAQUIS
Esteri

Il Papa sui raid a Gaza: "Basta colpire i civili. Tutelare i diritti umani"

Il messaggio dopo le indiscrezioni di Teheran sulle sue critiche a Netanyahu. Da Israele nessuna reazione. E riparte il negoziato per la tregua con Hamas. .

Papa Francesco, 88 anni, ha chiesto con forza il rispetto dei diritti umani a Gaza

Papa Francesco, 88 anni, ha chiesto con forza il rispetto dei diritti umani a Gaza

La comunità internazionale agisca con fermezza perché nei conflitti sia rispettato il diritto umanitario. Basta colpire i civili, le scuole, gli ospedali, basta colpire i luoghi di lavoro. Non dimentichiamo che la guerra sempre è una sconfitta, sempre". Lo ha ripetuto ieri papa Francesco che, all’Angelus, ha invocato la pace per le terre afflitte da conflitti: Ucraina, Palestina, Israele, Libano, Siria, Myanmar, Sudan. Ha anche lanciato un preciso appello alla comunità internazionale affinché esiga "con fermezza" il rispetto dei diritti umani ovunque.

Un messaggio che riecheggia le parole attribuitegli sabato dall’agenzia iraniana Irna, in quella che a Teheran era stata compresa come un’allusione al premier israeliano Benjamin Netanyahu e che la Santa Sede non ha finora smentito. Da Israele – che comunque non è stato apertamente chiamato in causa – non sono giunti ieri commenti anche se di recente c’erano state frizioni dopo che il Papa aveva detto che si dovrebbe verificare se a Gaza si stia perpetrando "un genocidio" e dopo l’esposizione di una ‘kefya’ palestinese (poi rimossa) in un presepe in Vaticano.

Ieri Netanyahu era piuttosto occupato a seguire col suo gabinetto di sicurezza gli ultimi sviluppi sui due fronti principali fomentati dall’Iran: Gaza e Libano. Da un lato, gli sforzi per raggiungere una tregua nella Striscia. Dall’altro, un intenso lavorio diplomatico per puntellare la fragile tregua in Libano. E dopo la pausa del Capodanno due diplomatici statunitensi sono stati inviati in missione nel tentativo di accrescere la stabilità nella regione: Amos Hochstein a quanto pare si accinge a raggiungere Beirut, mentre il consigliere di Biden Bret McGurk è diretto a Doha (Qatar) per verificare se Hamas sia disposto a firmare un accordo parziale per una tregua e per uno scambio di prigionieri. In particolare dopo le minacce espresse da Donald Trump, che vuole vedere subito un accordo per Gaza.

Anche il capo del Mossad David Barnea ha avuto istruzione di tenersi pronto a partire per Doha, se ci fosse la speranza di imprimere alle trattative la svolta decisiva. A dicembre era stato affermato che una intesa era attesa "entro la fine dell’anno". Adesso la nuova scadenza è l’investitura di Trump, il 20 gennaio. Ma sul terreno il 2025 è iniziato con l’amaro in bocca: con combattimenti intensi nel disastrato nord della striscia di Gaza e con la ripresa di lanci di razzi di Hamas contro le località ebraiche del Negev. Hamas appare disposto ad un accordo graduale, ma chiede una sospensione iniziale immediata dei combattimenti di una settimana per raccogliere informazioni aggiornate sulla sorte dei 100 ostaggi (in parte ancora vivi) di cui Israele richiede la liberazione. Netanyahu è pure propenso ad un accordo parziale, ma nelle strade di Tel Aviv i familiari degli ostaggi continuano a rumoreggiare.

Il loro timore è che i loro congiunti possano essere perduti per sempre se non rientrassero nel primo scaglione (34 donne, malati ed anziani) dei prigionieri da liberare inizialmente. Israele, secondo loro, deve esigere la liberazione in blocco di tutti i prigionieri. Per quanto riguarda il Libano ieri il ministro della difesa Israel Katz ha avvertito che Israele potrebbe restare nelle zone presidiate attualmente oltre i 60 giorni previsti che scadono a fine gennaio. La ragione, ha spiegato, è che l’Esercito libanese non ha ancora assunto il controllo della fascia del Libano sud compresa fra il fiume Litani ed il confine israeliano e che non ha ancora sospinto a nord i miliziani di Hezbollah.