Teheran, 13 settembre 2023 – È passato un anno dalla morte di Mahsa Amini, la giovane curda iraniana uccisa perché indossava il velo facendo spuntare dal velo una ciocca di capelli. La teocrazia è cambiata?
"Il regime è in allerta – risponde Mahmoud Amiry Moghaddam, 52 anni, fondatore dell’organizzazione Iranian Human Rights (Diritti umani in Iran, ndr) e ricercatore all’Università di Oslo – e ha intensificato la repressione e gli arresti di attivisti. Non sarà solo l’anniversario dell’uccisione di Mahsa, ma nei giorni successivi cadranno gli anniversari di più di 530 persone uccise da settembre a gennaio del 2023. Il regime perseguita le loro famiglie, le minaccia".
Come?
"Qualcuno viene convocato dalle autorità, altri vengono arrestati. Usano diverse tattiche. Le minacce sono serie. Dicono per esempio: se non volete perdere altri figli vostri dovete fare quello che vi diciamo. Circolano voci sulla circostanza che alcune famiglie sono state costrette ad andare da Ali Khamenei, il numero uno della teocrazia, per far vedere che sono a favore del regime e che le persone uccise non sono state vittime delle autorità, ma di terroristi".
La pressione sulla popolazione continua.
"Con interrogatori che sono di durata diversa, corti o prolungati. Le minacce sono pensate per ridurre tutti al silenzio. Le autorità fanno tutto il possibile per prevenire nuove proteste. Ogni anniversario può sfociare infatti in una dimostrazione. Prima o poi però torneranno le manifestazioni. In questo anno il regime non ha dovuto rispondere di quello che ha fatto, non ha affrontato le necessità quotidiane delle persone. È al punto della sua maggiore debolezza negli ultimi 44 anni. Uccide, tortura e imprigiona per sopravvivere. Vedremo per quanto tempo".
È prevedibile quindi che ci saranno nuove manifestazioni il 16 settembre?
"A Zahedan, nel Balucistan, ci sono cortei ogni venerdì, dopo il famoso venerdì di sangue il 30 settembre dell’anno scorso, il giorno nel quale le autorità hanno ucciso un centinaio di persone. È possibile che ci sarà un massiccio schieramento di forze dell’ordine in quella zona per prevenire la protesta. Siamo di fronte a un regime che non è stabile. Loro lo sanno e faranno tutto il possibile per prolungare la loro sopravvivenza. In un anno fra 20 e 30mila persone sono state arrestate perché collegate alle proteste e circa 700 impiccate. Tutto questo senza forti reazioni internazionali che si sono sentite solo in alcuni casi e non in altri. Lo scopo delle esecuzioni è diffondere paura. Un terzo delle pene capitali è stato nel Balucistan. I baluci sono fra il 2 e il 5 per cento della popolazione dell’Iran".
Ci sono stati arresti di famiglie che non hanno avuto alcuna parte nelle proteste?
"Quando si tratta di parenti di persone uccise durante le proteste, non è rilevante il fatto che siano state coinvolte nelle manifestazioni o meno. Semplicemente le autorità non vogliono che si organizzino cerimonie per gli anniversari degli individui ammazzati. Le esecuzioni sono un metodo di prevenzione".
La motivazione ufficiale di molte pene capitali è lo spaccio di droga.
"È solo un altro modo per generare paura. Il regime ha approvato una riforma nel novembre del 2017 che ha portato a una riduzione delle pene capitali, con la motivazione che in questi casi non sono un deterrente. Ma attenzione ai numeri. Nel 2018, nel 2019 e nel 2020 sono diminuite arrivando a una media di 25 all’anno. Quest’anno finora sono state più di 300. È un’altra misura preventiva per diffondere paura. In conclusione il regime non è stabile e il Paese non tornerà alla situazione nella quale era prima che venisse uccisa Mahsa Amini".