Lunedì 12 Agosto 2024
ALDO BAQUIS
Esteri

Il difficile summit di pace. Netanyahu fra due fuochi,. Hamas insiste per la tregua: "Va attuato il piano Biden"

Pressing Usa sul premier israeliano. Ma l’ultradestra minaccia di uscire dal governo. Fonti della sicurezza di Tel Aviv: possibile un accordo giovedì sul cessate il fuoco.

Il difficile summit di pace. Netanyahu fra due fuochi,. Hamas insiste per la tregua: "Va attuato il piano Biden"

Pressing Usa sul premier israeliano. Ma l’ultradestra minaccia di uscire dal governo. Fonti della sicurezza di Tel Aviv: possibile un accordo giovedì sul cessate il fuoco.

Giornate di massima suspence e di incertezza in Israele, mentre, da un lato, Usa, Egitto e Qatar completano i preparativi di un vertice dedicato ad un’intesa su una tregua a Gaza e mentre, dall’altra, i responsabili alla difesa di Tel Aviv scrutano continuamente il cielo in attesa di una ‘nuvola nera’: ossia di un possibile attacco multiplo in contemporanea (o anche scaglionato) di Hezbollah libanesi, dell’Iran e degli Houti yemeniti, tutti determinati a saldare conti passati con lo Stato ebraico.

Sul premier Benyamin Netanyahu vengono esercitate forti pressioni diplomatiche (ieri anche dalla Germania) affinché ignori le rimostranze dell’estrema destra nel suo governo e finalmente approvi la tregua a Gaza – per il presidente Usa, Joe Biden, questa è "ancora possibile" –: consentirebbe il recupero di uno scaglione di ostaggi israeliani.

Uno spiraglio arriva proprio da Hamas che nella serata di ieri si è detta favorevole ad attuare il piano di tregua in tre fasi dello stesso Biden invece di "ulteriori colloqui o altre soluzioni". Tradotto, niente vertice giovedì a Doha o al Cairo. Questo anche se proprio fonti israeliane ritengono sia possibile per i negoziatori finalizzare un accordo su un cessate il fuoco per la presa degli ostaggi durante quell’incontro.

Altre informazioni di intelligence poi indicano un allentamento della tensione anche sul versante iraniano. Il presidente riformista Masoud Pezeshkian avrebbe indotto il leader supremo Ali Khameney a riesaminare la ritorsione per la uccisione a Teheran di Ismail Haniyeh (Hamas). A riguardo gli Stati Uniti avrebbero aperto una linea diretta con l’Iran, chiedendo di ritardare la rappresaglia almeno due settimane. E l’Iran avrebbe acconsentito. Nel frattempo, però, sia gli Hezbollah sia Teheran sono comunque impegnati in preparativi militari che da due settimane costringono Israele a mantenere alti livelli di guardia, per sventare attacchi a sorpresa.

Fra questi, secondo i media, attentati a dirigenti israeliani, invasioni terrestri (ad esempio dal Libano), attacchi alle rampe marine di estrazione di gas naturale o attacchi contro basi israeliane segrete in aree confinanti con l’Iran.

"I nostri nemici – ha detto il ministro della difesa Yoav Gallant – minacciano di attaccarci con modi diversi dal passato. In quel caso anche noi agiremmo diversamente dal passato". Il ministro ha aggiunto che le capacità di Israele sono significative anche se – ha assicurato – non intende estendere il conflitto.

Per allentare queste tensioni, è convinzione di molti, sarebbe opportuno che dal vertice del 15 agosto uscisse un segnale evidente che l’accordo sulla tregua è finalmente fattibile. L’attenzione si concentra necessariamente sul premier Benyamin Netanyahu, il cui comportamento resta enigmatico. A fine luglio, in occasione di un discorso al Congresso, pareva incline alla firma. Ma nei giorni successivi le uccisioni a Beirut di un comandante Hezbollah e quella a Teheran di Haniyeh hanno rimesso tutto in discussione ed hanno significativamente esteso le dimensioni del conflitto. Da qui i dubbi sui reali obiettivi del leader del Likud che in seguito a quei drammatici episodi ha beneficiato di una immediata impennata nei sondaggi di popolarieta’.

Di fronte ad una opposizione frammentata e disorientata e mentre la protesta sociale contro di lui è stata ridimensionata dalle misure di sicurezza (nel timore di bombardamenti nemici) ieri il Likud ha rilanciato in grande stile gli attacchi contro il sistema giudiziario e contro la Corte suprema nel contesto di un profonda riforma istituzionale.

Una politica sostenuta con entusiasmo dall’estrema destra, che rappresenta dunque una polizza di assicurazione per Netanyahu di fronte alle minacce di Ben Gvir e del ministro Smotrich di uscire dal governo per dissensi sulla guerra a Gaza.