Lunedì 12 Agosto 2024
NINA FABRIZIO
Esteri

Medio Oriente, il custode di Terra Santa: "Dieci mesi carichi d’odio. Ora ognuno riconosca la sofferenza dell’altro"

Padre Patton lancia un appello per la pace: servono passi progressivi. "Nessuno nega l’orrore del 7 ottobre, ma la reazione danneggia anche Israele"

"Fino ad ora il morale è stato più di cauto pessimismo che di grandi speranze ma al punto in cui siamo tutti si rendono conto che bisogna cambiare passo: da un lato nessuno nega l’orrore di quello che è successo il 7 ottobre ma quello che è cominciato dopo comincia ad avere contorni di una certa gravità che stanno creando un danno anche allo Stato di Israele". La voce di padre Francesco Patton, custode di Terra Santa, è misurata. Dopo dieci mesi di sangue nessuno in Medio Oriente può permettersi facili illusioni. Eppure uno spiraglio di speranza va colto: "Oltre la questione dei civili morti a Gaza che nessuno può considerare danni collaterali accettabili, e a quella degli ostaggi che sembra siano stati ritenuti sacrificabili, c’è tutto quello che è successo nell’ultimo mese con il pericoloso rischio di un’escalation regionale del conflitto: a livello internazionale si è maturata una nuova consapevolezza, anche se forse non al livello locale con qualche personaggio che ancora non ha compreso a fondo il rischio di combattere su quattro fronti". Per questo, ora che sembra riprendere il dialogo per un tregua, i francescani di Terra Santa, in vista dell’Assunta, invocano un surplus di preghiera: "Venire fuori da questa situazione è l’unica prospettiva con vantaggi per tutti, con la guerra sarebbero solo ancora danni".

A quale futuro si può pensare?

"In questi 10 mesi abbiamo respirato più odio che ossigeno. Sul piano politico, servono passi progressivi, il cessate il fuoco, una tregua, la restituzione degli ostaggi e dei prigionieri politici. Poi una soluzione politica della questione palestinese, altrimenti le tregue saranno solo temporanee".

Che cosa può davvero determinare una svolta ora?

"Devono essere coinvolti tutti i soggetti della regione: ai palestinesi non si può dire “abbiamo pensato questo per voi“, come una imposizione dall’alto. Le leadership israeliane e palestinesi, le attuali o le future, si devono parlare e i soggetti locali devono raccordarsi a quelli internazionali: i Paesi del Golfo, la superpotenza Usa ed anche l’Ue, ma poi in Medio Oriente non si può far finta che non ci siano l’Iran, la Siria, il Libano e una presenza forte della Turchia e della Russia. È la zona geopolitica più complessa al mondo".

Israele però non può certo legittimare Hamas.

"I palestinesi stessi trovino una voce, una forma di sintesi tra la Anp e la realtà di Hamas. Israele i negoziati per gli ostaggi con chi li fa? Con Hamas… che abbiano un approccio pragmatico altrimenti si resterà perennemente bloccati e pian piano anche il movimento colonizzatore renderà inutile le rivendicazioni palestinesi poiché non ci sarà più territorio palestinese".

Dieci mesi di guerra spietata a che sono serviti? Hamas continua ad esistere.

"Come dice papa Francesco, la guerra è servita ai venditori di armi. È molto difficile estirpare un’ideologia, i capi si rimpiazzano, questo tipo di situazione ha alimentato il bacino di adesione di Hamas. Non a Gaza, che ha sofferto direttamente, ma in Cisgiordania dove ora, se si facessero le elezioni vincerebbe, e c’è chi sospetta che proprio questa sia la volontà di qualcuno".

Allora come se ne esce?

"La portavoce degli ostaggi Rachel Goldberg-Polin ha detto che il problema di Hamas non si risolve militarmente, serve la reciproca comprensione e accettazione del dolore altrui, per trasformarlo non in odio e vendetta, ma in empatia e compassione".