Una candidata con il vento in poppa si prepara all’investitura ufficiale. Ma il percorso verso il voto di novembre è solo all’inizio. Andrew Spannaus, analista e autore del podcast That’s America, ha spiegato al QN perché, nonostante l’entusiasmo che ha accompagnato la nomina di Kamala Harris, la strada verso la presidenza è ancora lunga.
Andrew Spannaus, domani parte la Convention democratica e Kamala Harris è in testa nei sondaggi. Cosa ci dobbiamo aspettare da qui a novembre?
"È chiaro che Harris ha guadagnato molto. Tutte le rilevazioni suggeriscono che sia avanti. Anche negli Stati chiave è in buona posizione. Ma la storia insegna che il candidato democratico può vincere il voto popolare e rischiare di perdere a livello di Grandi Elettori, ossia nei singoli Stati".
Perché questa convention è così importante?
"La convention sarà importante per consolidare il sostegno che ha guadagnato in queste settimane e che è frutto di un grande entusiasmo, soprattutto da parte di quelle minoranze che avevano abbandonato Biden. Ma c’è la campagna elettorale e soprattutto ci sono i dibattiti".
Intanto Harris ha presentato il suo programma economico, direi di stampo riformatore. Ma non è esattamente piaciuto a tutti. Il Washington Post lo ha bollato come ‘aggressivamente populista’, mentre Trump le ha dato addirittura della comunista…
"Per prima cosa diciamo che le serve l’entusiasmo dei lettori e non certo quello dei redattori del Washington Post .
In secondo luogo, credo che sia un buon segno se i giornali mainstream criticano il suo programma economico come populista. Perché in realtà negli ultimi anni è mancata proprio un’attenzione maggiore della politica verso le istanze e i bisogni della popolazione, soprattutto la classe media e bassa".
Che impatto potranno avere le sue riforme?
Alcune delle soluzioni che propone avranno un’efficacia limitata e sono effettivamente a scopo elettorale. Un trucco, questo, utilizzato però da molti politici. Penso sia comunque intelligente da parte sua cercare di affrontare in modo diretto le difficoltà che vive la popolazione. Preoccuparsi di cosa dicono gli economisti delle distorsioni di mercato onestamente in questo momento lascia il tempo che trova".
Economisti a parte, chi rischia di scontentare Harris con il suo programma?
"Sicuramente il mondo business. Un’agenda progressista di questo tipo non piace alle grandi aziende. Va però detto che un programma del genere non impatta in modo molto negativo l’economia, anzi, se il lavoro va bene ci sono investimenti e ne guadagnano tutti. Il vero problema è questo tentativo da parte di Trump di etichettarla come di sinistra socialista. Suona un po’ anacronistico, ma ha la sua utilità perché si cerca di farla passare come radicale. È più un volerla collocare a livello ideologico che criticare l’interventismo dello Stato in economia".
Un’ultima domanda: come hanno preso i democratici questo programma così riformatore?
"Non credo che la questione economica avrà impatti sulla convention. I problemi potrebbero arrivare sulla gestione del capitolo Israele. Harris usa un linguaggio più diretto verso Netanyahu. Ma alle parole devono seguire i fatti e non tutti nella base democratica sono convinti che arriveranno.