Roma, 18 ottobre 2024 – Nella città fantasma nascosta nel ventre della terra, fatta di tunnel e caverne che sta sotto le macerie di Gaza dove ancora sono prigionieri tra i cinquanta e i cento ostaggi israeliani, la vità è sempre più dura. Per chi è in catene e per i miliziani di Hamas orfani del capo supremo Yahya Sinwar. L’esercito israeliano stringe il cerchio, colpisce con l’artiglieria e i droni killer ogni angolo dove si suppone ci siano guerriglieri mischiati ai civili. Il reparto speciale Nili, autorizzato ad agire praticamente senza regole, dà la caccia ad ogni umano anche solo sospettato di far parte di Hamas, che però non cede, combatte sorretto dal fanatismo religioso. Meglio morire da martiri che arrendersi.
Live, Biden e alleati: “Porre subito fine alla guerra”
“Gli ostaggi? Liberi solo se Israele si ritira”. La guerra continua anche se la contabilità del conflitto racconta una parziale debacle delle milizie filoiraniane. Hamas prima del 7 ottobre contava su un esercito di 30-40mila uomini. Israele con la riedizione in chiave bellica dell’operazione “Collera di Dio” sostiene di averne fatti fuori 18mila. Ad oggi 26 capi delle milizie sono stati uccisi, 6 battaglioni su 12 sono stati neutralizzati o indeboliti.
Chi sarà il successore di Sinwar, la lista dei candidati
Ma la potenza di fuoco rimane attiva. Mentre quel che resta di Hamas si sta riorganizzando per nominare il successore del leader Sinwar. In pole position ci sono il fratello di Yahya, Mohammad Sinwar, elemento spietato capace di uccidere per uno sguardo sospetto, Khalil Al Hayia, che vive in Qatar dove muove milioni di dollari e leve politiche, e Khaled Meshal, già membro del Politburo di Hamas. Dice Andrea Margelletti, presidente del Centro studi internazionali: “Ora Hamas è privo di una testa perché non conta solo la nomina di un leader ma anche la capacità che il successore sarà in grado di esprimere. Le operazioni israeliane andranno avanti finché Tel Aviv non riterrà di essere soddisfatta dei risultati conseguiti”.
Alcuni analisti sostengono che la morte di Sinwar potrebbe avviare la svolta verso una tregua e la liberazione degli ostaggi. Possibile, ma la vocazione al martirio sostiene ancora la resistenza. Sotto la pressione dell’Idf chi sopravvive nei tunnel ha il problema dell’acqua e delle scorte alimentari, anche se laggiù esistono depositi attrezzati. Il cibo, che piaccia o no, arriva in parte sottratto agli aiuti delle organizzazioni umanitarie. È il motivo per cui gli israeliani bloccano per giorni i tir in transito, controllano ogni movimento, diffidano di tutto e di tutti al valico di Filadelfia gestito dagli egiziani. Da lì tutto passa, ma non sempre prende la direzione giusta. E l’Idf sa che stringere sugli aiuti alimentari significa mettere in difficoltà le milizie che contano su fiancheggiatori mischiati alla popolazione. Brutta storia, ma reale. Il valico è tenuto sotto controllo direttamente dal Mossad con telecamere, uomini e droni perché considerato anche un possibile punto di passaggio delle armi leggere destinate ai guerriglieri. Fucili, lanciarazzi Rpg che possono danneggiare i tank Merkava e tecnologia spesso aggirano in controlli perché smontati e fatti arrivare a rate, pezzo per pezzo. Poi i tunnel. Israele ne ha già scoperti e sgombrati parecchi, ma Hamas conserva un potenziale di fuoco ancora letale. È il motivo per cui l’Idf è costretto tornare in aree già bonificate. Un altro forte sospetto è che i guerriglieri utilizzino anche passaggi che sbucano segretamente in Egitto. Del resto è li che si addestrarono i deltaplanisti killer del 7 ottobre. Servono mille occhi e mille antenne. I miliziani, infatti, usano spesso giovani e adolescenti spinti dalle famiglie vicine alla resistenza come messaggeri e per trasferire cibo e armi. È il nodo della radicalizzazione delle nuove generazioni. Un bambino può passare inosservato rispetto a un adulto e riesce ad infilarsi nelle bocche più strette e più nascoste dei tunnel di Gaza. Anche questo è un metodo vigliacco di Hamas di farsi scudo dei civili.