Roma, 22 gennaio 2025 – L’operazione Muro di ferro lanciata a Jenin da Israele contro i guerriglieri palestinesi e l’accoltellamento a Tel Aviv da parte di un terrorista poi ucciso, sono segnali preoccupanti dopo la tregua a Gaza.
Secondo Bernard Selwan Khouri analista del Center For Oriental Strategic Studies esiste realmente un altro pericolo dietro l'angolo che rischia di infiammare la già precaria situazione: "Ci sono nuclei di Hamas bene armati e agguerriti in alcune aree della Cisgiordania vicine ai campi profughi, difficili da tenere a bada e pronti a tutto. Non sono da sottovalutare, Israele lo sa e teme l'apertura di un altro fronte". E ancora: "Chi governerà a Gaza se la tregua avrà sviluppi è il grande interrogativo futuro – spiega Bernard Selwan Khouri – bisogna vedere quanto conterà la pressione di Paesi vicini ad Hamas come il Qatar che guida i negoziati. Hamas punta anche su elementi legati a Fatah, ma questo gruppo è un elemento troppo intransigente, poco incline ad una soluzione morbida per la gestione della Striscia. In campo c'è anche l'Egitto che pare voglia giocare la carta di un forza di interposizione internazionale stile Unifil".
Tutta La comunità internazionale e in buona parte anche Israele, si arrovellano infatti intorno alla grande domanda: cosa resta di Hamas e quale sarà il suo futuro sempre che l'accordo-ponte per la liberazione degli ostaggi regga fino alla fine?
Partiamo dai numeri che arrivano da fonti sul campo ma comunque sempre difficili da controllare. Il 75% dei miliziani è stato ucciso dentro la carneficina delle circa 46mila vittime in gran parte civili. Resterebbero sul campo circa 10mila guerriglieri ancora bene armati che continuano a nascondersi come topi nel 40% degli impenetrabili tunnel rimasti agibili nel ventre di Gaza. Distrutti nella loro struttura i battaglioni, eliminati molti colonnelli, eppure il movimento non è del tutto battuto. Restano nuclei più agili, più addestrati alla guerriglia, ancora molto attivi. Infatti c'è da tenere presente un punto che nella logica occidentale appare di difficile comprensione. Per Hamas, nonostante Gaza sia in gran parte distrutta, la prevista liberazione di 2mila palestinesi detenuti nelle carceri israeliane è una vittoria e, in fondo, era il vero obiettivo dell'aggressione del 7 ottobre col bilancio di 1200 vittime e oltre cento ostaggi.
E' il senso del martirio che tiene in piedi la forza dei guerriglieri ora guidati da Mohammed Sinwar, fratello di Yahya, il leader storico ucciso con una operazione chirurgica dall'intelligence di Tel Aviv. Ed è sempre il sentimento del sacrificio che consente ad Hamas, secondo fonti di Gaza, di reclutare giovani leve, anche giovanissimi, che sono figli e nipoti dei miliziani uccisi in questi mesi di guerra spietata. Diverse decine hanno già abbracciato la causa dei miliziani con la fascia verde sul capo. I morti per loro più che semplici vittime sono soprattutto martiri, in vista dell’obiettivo finale conta più la morte che la vita.
Si comprende dunque perché in questo scenario Hamas ha preteso nell'accordo siglato in Qatar di poter sfilare con le milizie tra le macerie di Gaza mentre sono stati consegnati i primi tre ostaggi. Tute mimetiche nuove e pulite, scarponi lucidi, mitra rivolti al cielo. La messinscena di una vittoria da celebrare perfettamente preparata. I miliziani volevano sfilare e manifestare con le armi pesanti, ma su questo punto nell'accordo è stato messo uno stop. Solo armi leggere con corteo di pick up. Mentre gli israeliani hanno dovuto accettare di tenere a terra droni ed elicotteri, che solitamente pattugliano Gaza dal cielo, per consentire ai guerriglieri di uscire dai nascondigli senza (forse) essere visti. E nello show, partecipato in modo preoccupante da migliaia di civili, gli uomini di Hamas hanno subito messo in campo una struttura assistenziale e di sicurezza, per quanto possibile, proprio per dimostrare alla popolazione stremata che "qui comandiamo ancora noi".
Spiega Marco Mancini, analista ex capo del controspinaggio italiano: "Hamas sta premendo sull'accordo per ottenere la ricostruzione di Gaza in esclusiva, nodo non ancora sciolto al tavolo. In questa prospettiva l'accordo per gli sviluppi futuri è ancora da chiarire sulla richiesta di libertà per Abdullah Al Barghouti, l'ingegnere degli esplosivi, e su Marwan Barghouti, autorevole membro di Fatah, che Hamas vorrebbe inserire nella futura possibile guida di Gaza accanto a Mohammed Sinwar. Abu Mazen, attuale presidente dell'Autorità nazionale palestinese, si candida a sua volta per la gestione di Gaza però con Marwan Barghouti fuori dai confini. Ma attenzione, Hamas non è finito con le nuove reclute è già pronto alla battaglia, mentre rivendica di aver ucciso 4mila soldati dell’Idf e distrutto 1500 tank, cifre che però Tel Aviv smentisce". L'America di Trump, i signori arabi del petrolio e la stessa Ue spingono ovviamente per il cambio di passo nella Striscia con il coinvolgimento dell'Autorità palestinese.