Lunedì 3 Febbraio 2025
BEPPE BONI
Esteri

“Hamas non è sconfitta, guadagna consensi”. Vivo un miliziano su quattro

Margelletti (Cesi): “Ha ancora sostegno politico”

Roma, 6 febbraio 2025 – L’opinione pubblica mondiale fatica a credere che Hamas sia uscito sconfitto nell’inferno di Gaza dopo aver assistito allo show mandato in scena con la liberazione dei primi lotti di ostaggi israeliani. Pick up tirati a lucido e dotati di mitragliatrici, guerriglieri avvolti nelle mimetiche nuove, scarponi che sembrano non aver mai calpestato detriti e polvere, cori entusiasti sullo sfondo delle macerie, mitragliatori alzati verso il cielo. Una regia non casuale. Hamas a Gaza non ha vinto, brigate e battaglioni sono stati in parte smantellati dall’offensiva israeliana, ma non è del tutto sconfitto. E una parte della popolazione, pur piegata dalle bombe e dai massacri, sta dalla sua parte. Andrea Margelletti, analista presidente del Cesi, ha una visione precisa.

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I reparti agili di Hamas sono operativi

“Non fermiamoci ai numeri della guerra, la vera forza di Hamas è politica e oggi la sua reputazione presso la popolazione è superiore a prima del 7 ottobre. La struttura operativa è quasi smantellata, ma Hamas si pone come unico interlocutore presso i palestinesi. Secondo la visione occidentale può anche aver perso la guerra ma in realtà nella prospettiva della Striscia il suo potere politico è solido. Ottenere l’appoggio della popolazione è il vero obiettivo. Gran parte dei palestinesi non gli attribuisce i la colpa delle vittime civili”.

Intanto c’è la tregua ma per l’esercito con la stella di David il lavoro non è finito. Ora l’attenzione è concentrata sulla Cisgiordania per neutralizzare la Brigata Tulkarem, che prende il nome dall’omonimo campo profughi, affiliata ad Hamas e che conta qualche centinaio di uomini pronti a tutto. È l’operazione Muro di ferro. I raid dell’Idf hanno reso inservibili il 60% della ragnatela di tunnel profondi fino a 80 metri, ma il resto è ancora capace di nascondere uomini, mezzi, cibo, assistenza sanitaria. Tutto ciò che non ha la popolazione stremata. Ma questo ai guerriglieri non importa. Per loro riuscire a far liberare, secondo gli accordi siglati in Qatar, 2mila detenuti palestinesi è una vittoria, i morti sono martiri, il sacrificio della vita è un passaporto per l’aldilà islamico. Una medaglia morale.

Il 75% dei miliziani è comunque stato ucciso e fa parte della contabilità delle 46mila vittime totali. Restano ancora operativi i nuclei più agili, più addestrati alla guerriglia. Come la brigata Shadow, una delle più spietate, che gestisce gli ostaggi e gli show della liberazione, un reparto coperto di mistero. Le stime di prima del 7 ottobre davano presenti 40mila combattenti con l’aggiunta di 4mila uomini della Jihad islamica e altri 7mila di fazioni satellite. Di questo esercito secondo gli israeliani circa 18 mila guerriglieri sono ancora in vita al comando di Mohammed Sinwar, fratello di Yahya, il leader storico ucciso con una clamorosa operazione dall’intelligence di Tel Aviv.