Roma, 17 novembre 2024 – L’ansia per le elezioni di febbraio e l’angoscia per un’economia che arranca. Per questi motivi Olaf Scholz si è deciso a parlare con Vladimir Putin, secondo Aldo Ferrari, politologo di Ca’ Foscari e responsabile del programma ‘Russia, Caucaso e Asia centrale’ dell’Ispi. E l’avvento di Donald Trump è uno stimolo decisivo per risolversi a chiudere una guerra che viene considerata già persa.
Qual è il significato della telefonata tra il cancelliere tedesco e lo zar?
“Il rapporto tra Germania e Russia era, è e potrebbe tornare a essere importante. Negli ultimi due anni e mezzo Berlino si è adeguata completamente a Usa e Nato anche laddove, come per la distruzione del gasdotto Nord Stream 2, è stata colpita gravemente”.
Questo dialogo può essere interpretato come un segnale di apertura diplomatica o è semplicemente una manovra tattica?
“In entrambi i modi. È una mossa tattica perché Scholz deve agire per il proprio destino politico. A febbraio si vota, e il cancelliere ha bisogno di dimostrare all’elettorato di occuparsi delle difficoltà di un’economia danneggiata dalla rottura dei rapporti con Mosca”.
E sotto il profilo strategico?
“La guerra non potrà finire se anche in Occidente non si lavora in tal senso. In questi due anni e mezzo non c’è stata nessuna proposta delle diplomazie occidentali. Solo la Turchia ha ottenuto qualche risultato”.
Le tensioni energetiche come stanno influenzando le relazioni Germania-Russia?
“La dipendenza europea dagli idrocarburi russi sta diminuendo sempre di più. Il problema è che questa dipendenza era vantaggiosa per le nostre economie. La guerra ha avuto gravissime conseguenze in questo senso, riducendo la competitività dei prodotti europei e in particolare di quelli tedeschi”.
C’è il rischio che l’Europa si divida ulteriormente tra chi spinge per il dialogo e chi vuole mantenere una linea dura verso Mosca?
“Su questo punto la spaccatura esiste da molto tempo. Da una parte i Paesi meno rigidi, tra cui Italia e Francia; dall’altra Baltici, Polonia, Svezia, Danimarca e Norvegia, che in questa fase hanno assunto un peso politico preponderante nonostante economicamente siano poca cosa rispetto agli altri. L’esito del voto americano può rendere ancora più nette le divisioni”.
Esiste il rischio che gli Stati Uniti diminuiscano gli aiuti all’Ucraina?
“Mi sorprenderei se questo rischio non si concretizzasse scaricando tutto il peso sull’Europa. Già Biden nella sua ultima fase aveva cominciato a ridurre il sostegno di Washington a Kiev, che peraltro non ha portato a grandi risultati”.
Trump dice che la guerra deve finire, Putin sostiene a parole di voler negoziare. Chi detta le condizioni?
“Gli Stati Uniti sono indubbiamente più potenti della Russia, ma non ha senso parlare del temine del conflitto senza riconoscere le conquiste territoriali russe. Non ci sarà nessuna pace, né giusta né ingiusta, senza concedere a Mosca le regioni occupate con le armi”.
Zelenksy a sua volta parla di fine del conflitto entro il 2025. è uno scenario verosimile?
“Credo di sì”.
Dopo aver parlato per due anni di “vittoria”, è possibile che ora il leader ucraino accetti di trattare da sconfitto?
“Senza aiuti occidentali Zelensky si deve rassegnare”.
Lo status quo fotografa circa il 20% del territorio ucraino, quello più produttivo e dotato di risorse naturali, in mano ai russi. Cosa ne sarebbe di un Paese distrutto dalla guerra e mutilato?
“Le sue sorti dipendono solo dal sostegno economico dell’Occidente”.
Come stanno evolvendo le alleanze globali a seguito di questa guerra?
“La scommessa occidentale di isolare e sgretolare economicamente la Russia è fallita. Molti Paesi, come i Brics+, anche se noi li deridiamo, provano a sottrarsi all’egemonia americana. Il nuovo scenario sarà multipolare, che ci piaccia o no. La de-occidentalizzazione porterà a un mondo più stabile? Questo è tutto da vedere. Di certo l’equilibrio va ricostruito”.