L’avanzata di terra russa procede lenta, seppure si sia ormai concentrata solo nel Donbass. A Mosca si ammette che ci sono stati e ci sono problemi. Ma si promette ancora vittoria. «Nonostante le attuali difficoltà – ha detto il vice capo del Consiglio per la sicurezza nazionale di Mosca, Rashid Nurgaliyev – la Russia continuerà la sua operazione militare speciale, e i suoi obiettivi, compresa la demilitarizzazione e denazificazione dell’Ucraina e la difesa delle repubbliche di Donetsk e Lugansk, saranno completamente raggiunti». Il focus è nel Donbass. Le forze russe, dice lo Stato maggiore ucraino, stanno cercando di avanzare da sud verso Slovyansk nell’oblast di Donetsk e verso Severodonetsk nell’oblast di Luhansk, nonché lungo l’intera linea del fronte vicino alla città di Donetsk. Nella direzione di Lyman, il nemico ha lanciato un’offensiva per stabilire il pieno controllo del villaggio di Drobysheve e bloccare Lyman da nord. Gli ucraini invece stanno ulteriormente avanzando a nord di Karkiv. Ieri hanno liberato il villaggio di Dementievka, mentre sono sotto attacco nella zona di Ternovo, al confine con la Russia. Un’azione di guerriglia della resistenza ha bloccato un treno blindato russo con dieci vagoni e dieci serbatoi di carburante nell’area occupata di Melitopol. Secondo il sindaco di Melitopol, Ivan Fedorov, la resistenza ha già condotto con successo una ventina di operazioni nell’area della città, uccidendo oltre 100 occupanti russi.
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L'intervista al Generale Camporini - di Alessandro Farruggia
"Le forze armate russe hanno condotto le operazioni come cinquanta anni fa. E i risultati si vedono. La campagna ha forti difficoltà, ma non dobbiamo credere che Putin ne trarrà le conseguenze. Fino a che potrà, continuerà la guerra per salvare la faccia e se stesso". Così il generale Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica e della Difesa e oggi consigliere scientifico dello Iai.
Generale, cosa cambia da un punto di vista militare la presa da parte dei russi di tutta Mariupol, compresa l’Azovstal?
"Certamente è una mossa che ha un valore politico e simbolico perché la presenza di truppe ucraine combattenti all’interno di Mariupol, ancorché assediate, in qualche modo diminuiva la valenza dell’acquisita sovranità su quell’area, ma da un punto di vista militare non ha una soverchia importanza perché il controllo dell’area era comunque già garantito da tempo. Militarmente cambia poco".
Non è deludente il modo in cui ha performato sul campo l’esercito russo?
"Molto deludente. Ma in realtà era prevedibile, vedendo le cronache del recente passato, che mostravano dei vizi che ne inficiavano le performance e che non sono stati corretti".
Tipo?
"La sostanziale mancanza di una fascia intermedia nell’organizzazione gerarchica è un noto problema dell’esercito russo: fa mancare un fondamentale anello di congiunzione tra gli ufficiali e la truppa. Poi l’assenza di disciplina, con centinaia e centinaia di casi di gravi episodi di nonnismo che minano fortemente la coesione dei reparti. E quindi le difficoltà nell’allestire catene logistiche efficienti e una serie di problemi di dottrina militare sostanzialmente datata a partire dall’utilizzo inadeguato della componente aerea, che per noi è fondamentale e prioritaria per annientare le capacità degli avversari e invece non lo è per i russi, anche per la mancanza di armi di precisione in adeguato numero. Per capirsi, nella seconda Guerra del Golfo gli americani bombardarono per 46 giorni. Ma poi la campagna di terra durò solo 100 ore".
Una bella differenza. Quanto all’uso delle forze corazzate...
"È stata una grossa pecca: i russi hanno combattuto come avrebbero fatto i sovietici negli anni ’60. Mandare le forze corazzate senza adeguata protezione di fanteria è una follia, viste le moderne armi anticarro, che hanno reso i mezzi corazzati molto più vulnerabili. E infatti sono state fermate, con gravi perdite".
Nel Donbass sembra di vedere una diminuzione delle ambizioni. Secondo lei se i russi riuscissero a prendere tutta la provincia di Lugansk dopo aver preso Mariupol, potrebbero fermarsi e andare al tavolo delle trattative?
"Se io fossi Putin direi: quello che volevo conseguire l’ho conseguito, a mezzanotte le mie truppe avvieranno un cessate il fuoco e io sono pronto a negoziare. Se facesse così spiazzerebbe tutti e tratterebbe comunque controllando una parte del territorio ucraino. Ma Putin non lo farà perché ha altre ambizioni. La provincia di Lugansk non gli basta, ai suoi occhi è il primo passo per conquistare poi anche quella di Donetsk. Vuole tutto il Donbass e vuole tenere l’area tra Kherson e il Donbass. Per lui è il minimo per non uscire sconfitto e perdere la faccia. Sino ad allora continuerà a combattere, a dispetto delle perdite umane e materiali".
Per far la pace bisogna essere in due. Gli ucraini sarebbero disponibili a trattare sulla perdita di una parte del territorio?
"Credo siano disponibili a trattare, punto. Su quel che sono disposti a concedere dipenderà dal campo. L’ammontare delle perdite delle due parti determinerà il margine di flessibilità".
La vede l’ipotesi di una soluzione “alla coreana“, ognuno sta dove sta e non si firma un trattato di pace?
"Non sarebbe una soluzione. Può essere un esito ma non una soluzione: sarebbe l’ennesimo conflitto congelato come quello della Moldavia, quello dell’Armenia con l’Azerbagian, quello della Georgia con la Russia. Un conflitto congelato è un conflitto che prima o poi riesplode. Non sarebbe una soluzione, ma un germe di instabilità".