Oleksandr Zakurdai vive a Hostomel, vicino all’aeroporto di Antonov: è esattamente qui che, all’alba del 24 febbraio 2022, tutto è cominciato. Con un blitz, le truppe russe tentano infatti di occupare l’aeroporto, che si trova a 20 chilometri da Kiev: l’obiettivo è raggiungere al più presto la capitale e rovesciare il governo di Zelensky. Il piano di Putin non aveva messo in conto, però, la resistenza ucraina: proprio a Hostomel i militari ucraini riescono a infliggere pesanti perdite ai russi, bloccando la loro avanzata. La casa di Oleksandr viene colpita da una granata la mattina stessa del 24 febbraio. Il peggio, in realtà, deve ancora venire: avrà il volto di un manipolo di soldati ceceni, che occuperanno quel che resta del suo palazzo (e l’intera città) per 38 giorni, fino al 31 marzo. Quella mattina, lo stesso Oleksandr viene fatto inginocchiare sul pavimento del suo corridoio, le mani sopra la testa, senza pantaloni, privato (come tutti gli altri abitanti della cittadina) di tutti i dispositivi elettronici, dagli smartphone alle radioline. Cominciano così 38 giorni di vera e propria prigionia, in cui Oleksandr divide un angusto rifugio sotterraneo con decine di donne e bambini terrorizzati, uomini e donne anziani e persino cani e gatti, al seguito dei loro padroni. Decine di persone ammassate vivono – anzi, sopravvivono – in condizioni igieniche pessime, attaccati a un generatore di elettricità malfermo e costretti a chiedere ai militari di guardia persino il permesso di prelevare un po’ d’acqua.
Alla fine di marzo qualcuno annuncerà, finalmente, la possibilità di evacuazione, su base volontaria, verso la Bielorussia. Qualcuno partirà; qualcun altro, come Oleksandr, deciderà di restare: è troppa la paura che la Bielorussia, fedele alleata di Putin, si rifiuti di accogliere e ospitare il popolo ucraino. Oggi Oleksandr è ancora a Hostomel, da solo, e continua ad aggirarsi tra le rovine della sua casa devastata.