Maria Luisa Fantappiè, responsabile Medio Oriente dell’Istituto affari internazionali, le rassicurazioni di Biden di non volere una guerra con l’Iran ci garantiscono da una escalation con Teheran?
"Ci garantiscono da una escalation da parte americana. Gli Stati Uniti di Biden non attaccheranno direttamente l’Iran. Per fortuna, anche l’Iran non vuole e non ha mai voluto una guerra diretta contro l’America. È quindi un dato di fatto che entrambi gli attori non vogliano un confronto aperto e diretto. Ovviamente questo noi ci rassicura dal fatto che il botta e risposta attraverso “proxi“, dalle milizie filoraniane in Siria e Iraq agli Houthi in Yemen, non continuerà. Anzi, a mio avviso il conflitto indiretto proseguirà ancor più fortemente".
La necessità americana di rispondere militarmente è stata determinata solo dal fatto che stavolta ci sono stati 3 morti?
"Biden è stato sempre prudente nell’attaccare target filo iraniani, anche quando ci sono stati attacchi a basi americane. E prima del 7 ottobre ha anche tentato di riaprire, senza successo, il negoziato sul nucleare con Teheran. È una strategia molto diversa da quella di Trump, che nel 2020 ha deciso la più grande operazione contro l’Iran, l’uccisione del generale Qasem Soleimani. Adesso, viste le tre vittime americane e visto che siamo in campagna elettorale, la Casa Bianca non si poteva permettere di non rispondere. I repubblicani la avrebbero accusata di essere debole. Ma se questo non fosse un anno elettorale, forse il calcolo sarebbe stato diverso".
Gli strike americani sortiranno l’effetto sperato di far cessare gli attacchi delle milizie?
"Le posso assicurare che rispondere a questi attacchi non li farà cessare. E gli americani lo sanno benissimo. È una risposta politica all’opinione pubblica americana, iraniana e internazionale".
È sorpresa dalle reazione di condanna ma con toni piuttosto cauti di Teheran?
"Per nulla. Gli iraniani hanno fatto sempre così. Minimizzano per mostrare che sono in grado di incassare il colpo".
In compenso gli iracheni sono furiosi. C’è il rischio che l’attacco spinga il governo iracheno ancora più verso Teheran?
"È questo il vero rischio da temere, la destabilizzazione dell’Iraq. A Baghdad il governo, con premier sciita, è sostenuto da una maggioranza molto vicina ai gruppi pro-iraniani e non può fermare questi gruppi dall’effettuare attacchi contro le basi Usa. Ora, più gli americani effettueranno attacchi sul suolo iracheno, più daranno l’opportunità a queste milizie di dire al primo ministro iracheno che siamo di fronte a una violazione della sovranità dell’Iraq. E questo rischia di mettere in crisi le relazioni dell’Iraq con gli Stati Uniti, con vivo compiacimento dell’Iran".
Si potrebbe persino ipotizzare che le truppe americane possano essere invitate a lasciare l’Iraq?
"Ricordiamoci che l’ultima volta che c’è stata una partenza totale delle forze americane dall’Iraq, l’Isis ha stabilito lo stato islamico. Quindi il governo iracheno sa bene che la presenza americana gli serve sia in fase antiterrorismo che anche come contrappeso alla ingombrante presenza iraniana. Quindi, su questo c’è cautela: il premier Al Sudani sa che una partenza totale degli americani sarebbe un atto molto rischioso per Baghdad. Ma se si avanti così, la sua posizione potrebbe indebolirsi e portare a una partenza forzata, almeno parziale, delle truppe statunitensi".