Martedì 5 Novembre 2024
ANTONIO DEL PRETE
Esteri

Effetto domino globale. "La guerra in Medio Oriente fa gioco a Russia e Cina. I rischi per l’Occidente"

Il politologo Parsi: “Israele sta affrontando una minaccia esistenziale. Gli americani devono occuparsene, calerà l’attenzione sull’Ucraina. I sauditi vorrebbero continuare a fare accordi economici con Tel Aviv"

Roma, 13 ottobre 2023 – Un terremoto globale. Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, vede la crisi mediorientale come una forte scossa che produce danni anche alle nostre latitudini.

Gli equlibri globali con la guerra in Medio Oriente
Gli equlibri globali con la guerra in Medio Oriente

Professor Parsi, in che modo l’attacco di Hamas cambia gli equilibri del pianeta?

"Destabilizza per vasi comunicanti le dinamiche locali tra Israele e Palestina, le relazioni regionali del Medio Oriente e quelle mondiali, perché gli Stati Uniti hanno interessi nell’area".

A chi fa gioco una guerra in Medio Oriente?

"Nella regione a tutti coloro che non vedono di buon occhio l’estensione degli Accordi di Abramo, i quali definiscono una normalizzazione dei rapporti tra Israele e alcuni Paesi arabi. Negoziati che hanno un punto debole: aggirano la questione palestinese. Insomma, la guerra fa gioco all’Iran e a chi ha posizioni radicali".

E a livello globale?

"Alla Russia, perché calerà la concentrazione mediatica, politica e militare sull’Ucraina proprio nel momento in cui Kiev ha più bisogno. E fa comodo alla Cina. Gli Stati Uniti, infatti, avranno meno risorse da investire nell’Indo-Pacifico".

E a chi nuoce sotto il profilo geopolitico?

"Sicuramente a Israele. Si è dimostrato, infatti, che non è più invulnerabile, e che la deterrenza nucleare oltre che la superiorità tecnologica e militare non sono più sufficienti a garantire la sicurezza. Quindi, il Paese si ritrova senza una strategia".

Quanto agli alleati di Israele?

"Gli Stati Uniti saranno costretti a impegnarsi anche in quell’area, di cui sono i garanti da sempre. Neppure l’Europa può stare tranquilla, perché la tensione in Palestina aumenta le distanze con Paesi con cui ha relazioni importanti. Ad esempio l’Algeria, grazie alla quale ha limitato la dipendenza dal gas russo; la Tunisia, di cui ha bisogno sul fronte migranti; e il Libano, afflitto da una grave crisi economica".

L’allargamento del conflitto al Libano è uno scenario inevitabile?

"No, le scaramucce di questi giorni sono mosse di bandiera preventivabili. Ma Hezbollah entrerebbe in campo solo se ci fossero davvero le condizioni per la distruzione dello Stato di Israele. Peraltro, il Libano, che non è egemonizzato da Hezbollah, ha appena chiuso con Israele l’annosa diatriba sul confine marittimo per lo sfruttamento del gas".

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Che tipo di partita sta giocando l’Iran?

"Teheran ha i suoi interessi, ha aiutato Hamas, ma non è la regista dell’attacco di sabato scorso. Nessuno si fa ammazzare per qualcun altro. Il gruppo palestinese ha una sua agenda, il cui fine è impedire la creazione di un ordine regionale che prescinde dalla questione palestinese".

L’appello di Teheran e Siria per un fronte islamico unito contro Israele può fare breccia?

"Una parte importante dell’opinione pubblica araba è certamente ostile a Israele, la cui politica peraltro trascura questo aspetto. Ma Tel Aviv ha la capacità di tenere a bada gli Stati arabi. Se venisse attaccata, potrebbe usare l’arma atomica senza timore di obiezioni".

I Paesi arabi moderati restano sempre sul filo dell’ambiguità. Qual è il loro obiettivo in questa crisi?

"I sauditi vorrebbero continuare a fare accordi economici con gli israeliani: hanno bisogno della loro tecnologia per allentare la dipendenza dagli introiti petroliferi. L’Egitto ha interesse a una chiusura rapida della crisi anche per non patire gli effetti di una crisi umanitaria ai confini".

E la Turchia?

"Erdogan in cuor suo è sempre stato filo-palestinese. Negli ultimi vent’anni il governo islamista di Ankara non si è mai avvicinato più di tanto a Israele".

Poi ci sono le due grandi potenze: Stati Uniti e Cina. Possono imporre la loro volontà ai partner?

"No. Gli Stati Uniti hanno smesso di farlo dalla crisi di Suez del 1956. Possono spingere gli alleati alla moderazione, ma dopo la barbarie vista in questi giorni sarà difficile. La Cina non ha alleati nella regione né saprebbe come muoversi".

A questo punto per gli Usa il fronte europeo, cioè l’Ucraina, passa in secondo piano?

"Biden ha assicurato di no, ma di certo dovrà fronteggiare quella che per Israele è una minaccia esistenziale analoga al rischio corso nella guerra del Kippur".

Putin può approfittare dello spostamento dell’attenzione globale sul Medio Oriente?

"Proverà certamente a farlo".

Il conflitto in Ucraina, un golpe dietro l’altro in Africa, ora una guerra in Medio Oriente: è la terza guerra mondiale a pezzetti di cui parla il Papa?

"Parlerei piuttosto di entropia nell’ordine internazionale. La situazione non è così diversa da quanto abbiamo visto negli anni Settanta. Rispetto ad allora, però, le grandi potenze sono meno capaci di contenere le tensioni".

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