Domenica 22 Dicembre 2024
ANTONELLA COPPARI
Esteri

L’analisi di Caracciolo: "Tra Hamas e Israele non finirà in pareggio. La guerra si può allargare"

Il direttore di Limes: i miliziani vogliono essere i soli rappresentanti della Palestina. "Netanyahu punta ad annientare i terroristi, ma il controllo di Gaza è un’utopia. Con un attacco all’Iran diventerebbe un conflitto regionale se non di più"

Roma, 15 ottobre 2023 – Dire che Lucio Caracciolo, direttore di Limes, la più autorevole rivista italiana di geopolitica, (è in edicola l’ultimo numero: La Cina resta un giallo ) è preoccupato significa dire molto poco. La sensazione di trovarsi di fronte a una crisi dagli esiti potenzialmente incontrollabili è palese.

Lucio Caracciolo, 69 anni, giornalista e fondatore della scuola di geopolitica di Limes
Lucio Caracciolo, 69 anni, giornalista e fondatore della scuola di geopolitica di Limes

Ci sono alternative all’invasione di Gaza?

"No. Sarà un attacco su vasta scala, dal cyber alla fanteria, in mezzo ai vicoli di Gaza".

Si può almeno fare qualcosa per provare a salvaguardare i civili?

"Ci vorrebbe un accordo fra Israele e Hamas, ma siamo veramente nel mondo dei sogni".

Dopo l’ingresso a Gaza che scenario si apre?

"Intanto, uno scenario scelto non da Israele ma da Hamas. Tra le finalità del massacro del 7 ottobre c’è quella di portare Israele a combattere una guerra strada per strada con gran spargimento di sangue, probabilmente anche israeliano".

Con quale obiettivo?

"Diventare di fatto la ’Palestina’, cioè l’unico vero rappresentante della causa palestinese, l’organizzazione che l’ha riportata in primo piano, sia pure attraverso degli orrori".

Qual è il sostegno reale di cui gode Hamas tra i palestinesi?

"I palestinesi sono assai divisi, il consenso dipenderà molto dal tipo di operazione che faranno gli israeliani e dalla resistenza che opporrà Hamas. Se la vicenda si dovesse prolungare per settimane, avremo quasi certamente attentati in Europa e in America, pure una vera e propria sollevazione in Cisgiordania, e un intervento da parte di Hezbollah al Nord".

Insomma, secondo lei il rischio di un allargamento del conflitto è molto forte.

"Un conflitto tra Israele e Hamas è inevitabilmente largo: il teatro della tragedia non si limita a Gaza. Abbiamo già visto in Occidente attentati, episodi di antisemitismo, la diaspora ebraica nel mirino".

Quindi considera sicuro l’intervento di Hezbollah?

"Non sicuro. Qualche appoggio l’hanno già dato, ma solo simbolico. Certo, nel caso in cui Israele fosse davvero in difficoltà, sarà molto forte la tentazione da parte di Hezbollah di dargli un colpo, se non finale, certo molto molto pesante, in modo di mettere la firma sulla sua fine".

L’Iran cosa farà?

"Per ora si gode lo spettacolo. Ma sa che, qualora il governo di Israele fosse disperato, potrebbe arrivare ad attaccare l’Iran. In quel caso, però, il conflitto diventerebbe qualcosa di molto simile ad una guerra regionale se non addirittura qualcosa di più".

L’accordo tra Arabia Saudita e Israele è sepolto per sempre?

"Possono scongelarlo a condizione che Israele se la cavi decentemente e che la cosiddetta piazza arabo-musulmana non appaia poi così eccitata per questa vicenda. Da quello che si vede l’atteggiamento di disponibilità dei leader sauditi non è condiviso da gran parte della popolazione, anche se l’opinione pubblica in Arabia saudita conta poco".

Quale risultato si potrebbe considerare ’decente’ per Israele?

"Piazza pulita dei vertici di Hamas a Gaza, conquista del controllo della Striscia, che comunque non sarà mai sicura, senza che ci siano decine di migliaia di morti".

Quali limiti reali pone l’America ad Israele?

"L’America ha cercato di calmare i bollori di Netanyahu e di invitarlo alla moderazione, non ottenendo grandi risultati in questa fase. Ma se Israele fosse veramente messo in pericolo, a quel punto l’America scenderebbe in campo, anche con un intervento militare diretto".

Come si traduce in concreto la de-escalation invocata anche dal ministro Tajani?

"Significa semplicemente che le parti concordano di abbassare il livello dello scontro. Non mi pare che in questo momento né gli uni né gli altri siano preparati a farlo. Insomma, questa storia difficilmente finirà con un pareggio. E uno dei due ne uscirà molto peggio degli altri".

È possibile salvare gli ostaggi? Non solo i prigionieri che hanno un doppio passaporto, anche gli israeliani quante chance hanno di essere liberati?

"Ho l’impressione che in fondo non importi a nessuno molto degli ostaggi. O meglio, ad Hamas importa perché potrebbero essere oggetto di trattativa ma in un futuro piuttosto lontano. Ad Israele interessano in linea teorica, molto meno in linea pratica. Non mi pare possa prendere misure particolarmente prudenziali mentre attacca Gaza".

C’è una correlazione tra il teatro mediorientale e quello ucraino?

"Certo. Sono teatri anche geograficamente piuttosto vicini, tra l’altro in mezzo c’è pure la guerra tra Armenia e Azerbaijan, il Caucaso in ebollizione. Soprattutto, l’esplosione del conflitto in Medio Oriente significa minor attenzione per l’Ucraina da parte dell’Occidente, in particolare dell’America, e quindi un vantaggio per la Russia.

Potrebbero esserci ricadute anche in Italia?

"Sì. Le ricadute sul territorio nazionale potrebbero essere attentati, accoltellamenti, violenze contro ebrei o comunque contro occidentali. Francamente, non vedo coinvolgimenti militari a meno che non scoppi la guerra anche sul fronte Nord. In quel caso, bisognerà evacuare quel migliaio di italiani del contingente Onu, al confine tra Libano e Israele".

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