Di fronte al rischio sempre più allarmante che il conflitto fra Israele e Hezbollah degeneri in una escalation regionale la diplomazia internazionale – su iniziativa degli Stati Uniti e della Francia – ha presentato ieri una proposta per una sospensione di 21 giorni delle ostilità sul confine israelo-libanese tale da facilitare il ritorno della popolazione civile alle rispettive abitazioni. Questa breve pausa dovrebbe garantire l’ossigeno necessario per raggiungere un accordo più articolato. La proposta – che si basa sulla risoluzione 1701 dell’Onu del 2006 relativa al mantenimento di una ‘zona cuscinetto’ nel Libano sud, a ridosso del confine israeliano – è stata sostenuta dall’Ue, da Italia, Germania e da altri sei Paesi.
Per diverse ore ieri, mentre l’intensità dei bombardamenti di Israele e degli Hezbollah sembrava essere calata, si è creata la sensazione che la diplomazia fosse finalmente riuscita ad aprire una breccia. In seguito però è giunta la doccia fredda: sia dal premier israeliano Benjamin Netanyahu, sia dal premier libanese Najib Mikati (che peraltro non ha eccessiva influenza su Hassan Nasrallah), sia – almeno nei fatti – dagli stessi Hezbollah, che hanno lanciato oltre 200 razzi sul nord di Israele. In parallelo l’aviazione israeliana ha eliminato nel rione Dahya di Beirut (roccaforte degli Hezbollah) il responsabile dei lanci dei missili, Muhammad Hussein Srur, e ha colpito diversi punti di valico alla frontiera libano-siriana per bloccare forniture di armi iraniane destinate agli Hezbollah. Nella notte le forze armate israeliane hanno sventato un attacco Houthi a Tel Aviv con un missile lanciato dallo Yemen.
La guerra, dunque, prosegue con intensità. "Continuiamo a colpire gli Hezbollah con tutta la nostra forza", ha ribadito al suo arrivo a New York Netanyahu, che oggi pronuncerà un discorso alle Nazioni Unite. "Non ci fermeremo fintanto che non avremo raggiunto tutti i nostri obiettivi: in primo luogo il ritorno in condizioni di sicurezza alle loro case degli abitanti del Nord di Israele".
Per un disguido tecnico l’iniziativa degli Usa e della Francia è stata resa nota alcune ore dopo che Netanyahu era salito sul proprio aereo personale ‘Ala di Sion’. In contatti preliminari i consiglieri di Biden avevano ricavato la netta sensazione che egli la avesse assecondata. Anche se non l’aveva elogiata pubblicamente sulla scaletta dell’aereo partendo da Tel Aviv forse – questa la loro convinzione – si sarebbe espresso in seguito al suo arrivo negli Stati Uniti. Ma nelle ore in cui Netanyahu era in volo, nel Likud e negli altri partiti di estrema destra si sono moltiplicate le reazioni totalmente negative ad ogni ipotesi di sospensione dei combattimenti. Fra i più determinati anche il ministro degli Esteri Israel Katz, che sostituisce Netanyahu durante la sua assenza. Non solo: anche due esponenti dell’opposizione (Gideon Saar e Avigdor Lieberman) hanno esortato l’esercito a non demordere. Altri ancora (come Benny Gantz) hanno preferito tacere. Perfino il leader della sinistra Yair Golan ha criticato la proposta di Usa e Francia: sospensione degli attacchi, ha detto, "per non più di tre giorni". Al suo arrivo a New York Netanyahu non ha avuto scelta e ha ribadito una posizione rigida, rivendicando inoltre di essere lui stesso ad autorizzare dall’aereo l’eliminazione del dirigente militare Hezbollah.
Se avesse avuto da Netanyahu l’appiglio che sperava, la diplomazia statunitense si sarebbe subito avvalsa del sostegno del Qatar e degli Emirati arabi uniti per esercitare pressione sui dirigenti libanesi e, in definitiva, sugli Hezbollah. Ma le speranze del segretario di Stato Antony Blinken non sono ancora svanite. Cercherà oggi di recuperare il terreno perduto e di ottenere da Israele l’impegno a sostenere quella iniziativa. Intanto, il ministero della Difesa israeliano ha dichiarato di essersi assicurato un pacchetto di aiuti da 8,7 miliardi di dollari dagli Usa per sostenere gli sforzi militari.