L’attacco al sud della Striscia, la sorte degli ostaggi, dei profughi e soprattutto la questione dei tunnel. La guerra a Gaza prosegue senza soste. "È iniziata la terza fase, abbiamo catturato molte roccaforti di Hamas al nord, ora stiamo operando contro i loro centri di gravità al sud, dove stiamo accerchiando Khan Younis" ha annunciato il capo delle forze di difesa israeliane (Idf), il generale Herzi Alevi.
"Siamo nel cuore di Khan Younis", ha confermato il generale Yaron Finkelman, capo del comando sud di Idf. Anche se le dichiarazioni sono un pò ottimistiche – i blindati israeliani hanno raggiunto alcune zone di Khan Younis ma sono ben lungi dall’averla circondata – l’avanzata è reale e il tema che sta emergendo in queste ore è quello dei tunnel.
"Israele – scrive il Wall Street Journal – sta prendendo in considerazione l’allagamento dei tunnel sotterranei di Hamas nella Striscia". L’articolo dice che la tattica israeliana "potrebbe distruggere i tunnel e scacciare i combattenti dai loro rifugi sotterranei, ma anche minacciare l’approvvigionamento idrico di Gaza". L’allagamento di alcuni tunnel era stato effettuato dall’Egitto a Rafah, nel 2013 e 2015, con esito positivo. Ma si trattava di singoli cunicoli, non di una rete che si stima lunga fino a 800 chilometri.
"Idf – osserva il quotidiano americano – ha finito di assemblare grandi pompe di acqua di mare circa un miglio a nord del campo profughi di Al-Shati intorno alla metà del mese scorso. Ognuna di queste cinque pompe può attingere acqua dal mar Mediterraneo e spostare migliaia di metri cubi di acqua all’ora nei tunnel, inondandoli". L’inondazione "richiederebbe alcune settimane per essere completata, lasciando il tempo ad Hamas e ai suoi ostaggi di evacuare" ma il piano pone altri problemi. Il pompaggio di milioni di metri cubi di acqua di mare sotto Gaza potrebbe inquinare con il sale la falda e danneggiare gravemente le infrastrutture idriche e fognarie. Di certo Israele non ha ancora deciso. "Allagarli potrebbe essere una buona idea ma abbiamo molti modi per distruggere i tunnel. Non entrerò nei dettagli" ha detto il capo di Stato Maggiore Herzi Halevi.
Tra i molti problemi il rischio di allagare e uccidere anche gli ostaggi. E la questione ostaggi resta delicatissima. Ieri Nethanyahu ha incontrato una delegazione di familiari e di ostaggi e l’esito, dopo un faccia a faccia molto teso, non è stato positivo. Netanyahu ha detto alle famiglie delle persone rapite ancora nelle mani di Hamas che "al momento non è possibile riportarle tutti indietro" e ha aggiunto: "Qualcuno può davvero immaginare che se ci fosse una tale possibilità, qualcuno la rifiuterebbe?".
La posizione non è piaciuta affatto alle famiglie che chiedono la ripresa immediata dei negoziati con Hamas a "qualsiasi costo". "La riunione con il gabinetto di guerra e il premier è stata una vergogna" ha commentato Danny Miran, fratello di Omri, uno degli ostaggi. La strada della trattativa è allo stato interrotta. "Non ci sarà nessuno scambio di ostaggi fino a quando non si fermerà l’aggressione a Gaza" ha detto un esponente di Hamas a Reuters. E da Beirut il responsabile di Hamas in Libano ha confermato questa linea, muro contro muro.
A pagare il prezzo della guerra è come sempre la popolazione civile. Il segretario generale dell’Onu per gli affari umanitari Martin Griffiths ha lanciato l’allarme su una situazione diventata "ormai apocalittica" e ha denunciato che i civili "sono costretti a fare una scelta impossibile dopo l’altra" in un territorio dove "nessuno luogo è sicuro e nessuno è al sicuro". Le vittime a Gaza, dall’inizio della guerra, sono intanto salite, secondo fonti del movimento islamista, a 16.248, e i feriti sono almeno 43.616. Il 75% dei palestinesi della Striscia è sfollato e l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) prevede che nelle prossime settimane più di un milione di persone arriveranno nella città di Rrafah, al confine con l’Egitto. E lì resteranno bloccate.