La prima sorpresa fu all’aeroporto. Si erano dimenticati di chiudere i voli e il traffico aereo era regolare. In compenso la guardia di frontiera aveva voglia di fare il simpatico e quando ebbe tra le mani il passaporto italiano disse con un sorrisino: “Ah italiano mafioso!”.
L’aria cambiò in breve via via che ci si avvicinava al centro di Mosca. Anche i taxi funzionavano come in un giorno qualunque. Le code dei carri armati erano dei serpenti che avanzavano lentamente in direzione del Cremlino, ma da molte ore la loro lenta marcia si era di fatto fermata.
Kutusovsky era tagliata in due dai tank e nessuno capiva perché si fossero fermati. Sembrava un colpo dal carattere indeciso. Come se non fosse in grado di tornare indietro e allo stesso tempo non fosse capace di andare avanti.
Molti carri armati erano assediati da donne inferocite che cercavano di far tornare alla ragione quei giovani soldati. “Io potrei essere tua madre e tu saresti capace di spararmi? Rispondimi! Saresti, capace?”. Alcuni li prendevano per le orecchie.
I soldatini guardavano quelle donne con una certo timore. Sembrava che qualcosa non fosse andato secondo i piani ma non si capiva bene. Bush da Wasghinton disse: “I colpi di stato possono riuscire o fallire”.
Una profezia. Poi accadde qualcosa che riempì i cuori. I carri armati erano schierati davanti al parlamento russo, che chiamavano casa bianca, e ad un certo punto su uno di quelli si vide salire il presidente russo Eltsin che lesse un comunicato con cui chiamava il popolo a scendere in piazza.
Fino a quel momento i moscoviti erano rimasti chiusi in casa, che certamente non significava adesione ai golpisti ma piuttosto paura di esporsi. Le notizie che circolavano parlavano di Gorbaciov e Raissa sequestrati nella loro casa in Crimea e di una giunta militare decisamente attempata, con il capo del Kgb Kriuskov, il segretario del politburo Jakolev, il ministro dell’interno Pugo. Tutti pezzi da novanta ma storditi dalla vodka già al primo giorno.
Da quasi un anno avevano brigato per far tornare indietro l’orologio della storia. Poche settimane prima Bush e Gorbaciov avevano firmato lo Start, il trattato sul disarmo che metteva fine al confronto militare tra le due superpotenze.
I golpisti volevano che Gorbaciov rinnegasse la sua politica di pace che aveva perseguito fino allora e lui - si è saputo dopo - li mandò al diavolo con parole insolenti ma di esplicito significato. Finì che i golpisti al secondo giorno si resero conto che il loro colpo di stato era destinato a fallire e in modo ridicolo andarono in processione in Crimea per trovare un accomodamento con Gorbaciov. Tornarono a Mosca a mani vuote ma questo non significa che il presidente sovietico non avesse comunque pagato un prezzo a quel golpe. La moglie Raissa aveva avuto un malore durante il sequestro e quel male le sarebbe stato fatale. Lo si vide subito, che sia lui che lei non erano più quelli di prima, quando scesero - la stanchezza sui loro volti - la scaletta dell’aereo che li riportò a Mosca. I golpisti finirono in prigione ma per poco tempo. Trattati anche fin troppo bene per una cricca che fece molto danno alla storia. Gentaglia incapace e velleitaria. Si erano dimenticati anche della spedizione delle manette per arrestare gli oppositori. Ne avevano ordinate duecentomila, ma arrivarono quando il golpe era già fallito.