Roma, 15 gennaio 2024 – "Il rischio geopolitico e il cambiamento climatico stanno facendo arretrare le rotte di navigazione disponibili alla situazione di oltre un secolo fa, con i vettori che tornano alle rotte alternative (Capo di Buona Speranza e Stretto di Magellano). Cioè i principali passaggi commerciali tra l’emisfero settentrionale e quello meridionale prima che i canali artificiali fossero resi operativi. Gli shock ai canali di Suez e Panama richiamano l’importanza di investire nella resilienza dei principali choke point commerciali, migliorando sicurezza, adattabilità al clima, efficienza dei porti ed escogitando alternative di trasporto". Così la professoressa Angela Stefania Bergantino, ordinaria di Economia dei trasporti dell’Università di Bari e analista dell’Ispi.
Tra Mar Rosso e Panama si rischia la tempesta perfetta delle rotte commerciali: è un fenomeno transitorio o rischia di avere effetti strutturali?
"La crisi contemporanea del Canale di Suez e di quello di Panama sta già avendo effetti, che se non sono strutturali quanto meno rischiano di essere di lungo periodo. Le loro cause, una di carattere geopolitico e una legata al riscaldamento climatico, difficilmente potranno essere superate a breve".
La globalizzazione ha già sofferto e soffre per il Covid e per i rischi geopolitici (Russia-Ucraina, Cina-Taiwan), e per l’incertezza della Via della seta. È forse in atto un ribilanciamento della catene di valore?
"Il sistema della globalizzazione è in continua trasformazione. Ai tradizionali quadranti di tensione, ad esempio il Pacifico e il Medio Oriente, si stanno sommando le questioni legate al riscaldamento climatico, largamente imprevedibili. La tendenza generale, specie dopo il Covid, è ad accorciare le catene del valore: fenomeni di near-shoring and friend-shoring hanno caratterizzato questi ultimi anni ridisegnando la geografia degli approvvigionamenti e delle forniture per molti ambiti industriali e manifatturieri. Questo però è in contraddizione con altre tendenze, ad esempio con i processi di decarbonizzazione funzionali alla transizione energetica che richiedono forniture che provengono dall’Oriente o al costante bisogno dell’industria informatica di minerali che si trovano solo in Africa".
Un modo multipolare come quello che sta sorgendo, sarà meno interconnesso dal punto di vista dei commerci?
"Dovrebbe, in linea teorica, essere più interconnesso. Tuttavia, ci sono player internazionali preminenti come Usa o Cina che tendono a voler imporre il loro ruolo e altri imprevedibili come la Russia o alcuni Paesi islamici che tendono a massimizzare i vantaggi che derivano da ogni elemento di crisi".
Cosa cambierà per un consumatore europeo e in genere occidentale?
"L’Europa rischia di essere il soggetto più debole nelle crisi future perché non ha fonti energetiche proprie e dipende dai trasporti mondiali per l’approvvigionamento delle sue industrie di trasformazione e per il turismo. I consumatori europei sono i più esposti e saranno i primi a patirne le conseguenze".
E per il mondo del lavoro, cosa cambierà? Possono tornare in Europa i lavori “emigrati“ verso Paesi dove il costo del lavoro è più basso?
"Non so se questa sia una prospettiva auspicabile. L’Europa si sta specializzando in una economia ad alto contenuto tecnologico e di informazioni. Ha dunque la strada segnata in questa direzione davanti a sé".