Roma, 18 dicembre 2024 – La Francia attende col fiato sospeso il verdetto del processo del secolo. Dominique Pelicot e gli altri 50 imputati rischiano dai 4 ai 20 anni di reclusione, il massimo previsto dal codice penale francese in casi di stupro, aggravanti incluse.
Per dieci anni Gisèle Pelicot, 71 anni, è stata vittima di un sistema orchestrato dal marito: oltre 80 uomini contattati su internet, di cui solo 50 sono stati identificati dalla giustizia, avrebbero abusato sessualmente di lei, priva di sensi a causa dei sonniferi somministrati da Dominique Pelicot. Nella loro casa di Mazan (Vaucluse), a una trentina di chilometri da Avignone, la polizia ha ritrovato le riprese degli atti conservati dal marito. Video di una violenza sordida, mostrati in aula in presenza degli accusati, ma fondamentali per poter condannare i presunti violentatori.
"Il ruolo di queste registrazioni è determinante – spiega Charlotte Dubois, giurista e professoressa di diritto penale all’università parigina Pantéon-Assas - si vedono gli imputati sul luogo del crimine, si vede la penetrazione. La loro unica possibilità è contestare l'elemento morale dello stupro, poiché quello materiale è evidente. L'elemento morale dello stupro è il fatto che l'autore fosse consapevole, intenzionato ad imporre un rapporto sessuale alla vittima".
Il 94% dei casi di stupro archiviati
Il caso Pelicot ha il merito di portare alla luce le lacune del codice penale francese e denunciare la “cultura dello stupro” intrinseca alla società francese. In un paese dove, secondo uno studio dell’Istituto di Politiche Pubbliche relativo al periodo 2012-2021, il 94% delle denunce di stupro viene archiviato, l’urgenza di un adattamento della giurisprudenza è evidente . “Spesso l’indagine preliminare non permette di raccogliere prove sufficienti, ma il vero ostacolo è che il codice penale è troppo restrittivo. Per legge, un’aggressione sessuale avviene in presenza di violenza, minaccia, costrizione o sorpresa. Se in più c’è penetrazione allora si tratta di stupro. Il problema è che se il pubblico ministero non è in grado di dimostrare uno di questi elementi, allora il fatto non sussiste”, sostiene Emmanuelle Handschuh, membro di #NousToutes, uno dei principali collettivi femministi del paese. Retaggio di quella mentalità chiamata “cultura dello stupro”, che significa "accettare e banalizzare un insieme di espressioni, immagini e stereotipi che dipingono le donne in situazioni di dominazione. È l'idea che la donna 'se la sia cercata' e che 'non è la fine del mondo'", spiega l’attivista. Secondo Handschuh neanche l’aula del Palazzo di Giustizia di Avignon è esente da critiche: “quando un magistrato pone una domanda sulla sessualità della vittima, è fuori luogo. Un’aggressione sessuale o uno stupro non hanno nulla a che vedere con una forma di sessualità libera e consenziente” Il verdetto di Avignone, che ha suscitato una eco mediatica nazionale e internazionale imprevedibile, potrebbe essere il punto di svolta. “Credo che sia in corso una presa di coscienza collettiva da parte della società e questo è qualcosa di nuovo. Lo si vede dal numero di persone scese in piazza per sostenere Gisèle Pelicot e tutte le vittime di violenza sessuale” dice Emmanuelle Handschuh, prima di relativizzare: "A noi femministe il processo non ha insegnato granché. Conferma e permette di far vedere a tutti ciò che noi diciamo da anni: oggi è la vittima a provare vergogna, mentre dovrebbe essere l’aggressore a vergognarsi”.
Intenzionalità e consenso sessuale: un processo apripista
Oltre ad alimentare il dibattito pubblico e politico, il processo è l’occasione per far evolvere il codice penale francese, in cui non è presente la nozione di consenso. "Anche se non è esplicita, naturalmente, l'idea è presente. Perché se una persona utilizza la violenza, minaccia o droghe per alterare la vittima, significa chiaramente che questa non era consenziente e che l’atto è stato forzato”, precisa la giurista Charlotte Dubois. L'Unione Europea ha adottato un progetto di direttiva per spingere gli Stati membri a inserire l'assenza di consenso nelle legislazioni nazionali e alcuni Stati membri, tra cui la Svezia, il Belgio e la Spagna, hanno inserito la parola consenso nella legge. Altri, come la Francia e la Germania, non lo hanno fatto per ragioni procedurali: il codice penale rientra nelle competenze nazionali e non dell’Unione europea. La particolarità del caso di Mazan, oltre al fatto che si svolge a porte aperte su richiesta della vittima Gisèle Pelicot, è che se ne occupa la Corte penale dipartimentale. Tradizionalmente in Francia, la giurisdizione competente per questo tipo di crimini è la Corte d'assise. “Si tratta di una giurisdizione molto recente, creata a titolo sperimentale nel 2019 e successivamente generalizzata e convalidata dal Consiglio Costituzionale. Al contrario della Corte d’assise, non è prevista una giuria popolare. La Corte è composta esclusivamente da magistrati professionisti”, spiega Charlotte Dubois. Un modo per garantire l’indipendenza del giudizio, in un caso fuori dal comune, in cui le aspettative, la pressione mediatica e popolare non sono mai state così alte.