Parigi, 17 novembre 2018 - Si potrebbe dire che il fronte delle contestazioni si è propagato come un incendio, e c’è chi ha esasperato gli animi gettando benzina sul fuoco. All’origine della protesta che infiamma la Francia, ci sono i Gilet gialli (les gilets jaunes), movimento che prende nome dai giubbotti catarifrangenti, obbligatori per legge su ogni automobile, indossati dai manifestanti. Una sollevazione spontanea costituita da migliaia di automobilisti riuniti in collettivi, che hanno fatto rete sui social contro il caro benzina introdotto dal governo Macron: un movimento rimasto alla larga da partiti e sindacati, alimentato dal malcontento della classe medio-bassa.
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La protesta continua domenica: già 150 blocchi. Gilet gialli a Disneyland
L’esecutivo francese ha infatti deciso di aumentare le tasse sui carburanti per accelerare la transizione verso le politiche verdi, la trazione elettrica, le energie rinnovabili. Ma i manifestanti vivono in zone rurali lontane dai grandi agglomerati francesi e assicurano che l’automobile alimentata a benzina o gasolio è l’unico mezzo alla loro portata, incapaci di permettersi il lusso di rinnovare il parco macchine con le tecnologie ibride. Un movimento che, secondo un sondaggio recente, incontra una massiccia adesione da parte della popolazione, il 74%, che si è stancata di subire imposizioni burocratiche a bacchetta dall’alto dai papaveri dei ministeri, senza alcun riguardo nei confronti della vita reale. Si spiega così come è stato possibile che si sia consolidato in Francia un sostegno trasversale e una simpatia istintiva verso i dimostranti, contro le imposizioni dell'Amministrazione statale. L’appoggio abbraccia una arco che va dalla leader di estrema destra Marine Le Pen al capofila della sinistra radicale Jean-Luc Mélenchon, e ancora da Laurent Wauquiez (Les Republicains) e al sovranista Nicolas Dupont-Aignan.
Dalla rete alle piazze: sono nati sui social network i gilet gialli che hanno bloccato la Francia con una sollevazione senza leader, sganciata dai partiti politici o dai diktat sindacali, che sono stati scaricati. Oltre 244.000 persone hanno dato vita a duemila blocchi di strade, aree di servizio comprese presso i centri commerciali e i supermercati, secondo i dati ufficiali diffusi dal ministro dell'Interno
Dal tema originario della protesta contro il caro-carburante, l’onda gialla è arrivata allo slogan più gettonato, scandito in coro fin sotto le finestre dell’Eliseo: "Macron, dimettiti". Il nocciolo duro di questa protesta è nelle campagne. Lì, nella Francia profonda, soprattutto nel Nord e al Sud - passando per la grande dorsale della valle del Rodano - ci sono le persone e le famiglie che sbarcano il lunario con salari modesti, e che sono costretti a prendere l’automobile a benzina (gasolio o gpl in alternativa) per recarsi al lavoro, e che non potrebbero comprare una auto nuova fiammante, elettrica o ibrida, perché costa troppo e ha ancora delle notevoli limitazioni di impiego e in termini di autonomia.
I gilet gialli sono inviperiti anche perché il carovita delle metropoli reso ancora più odioso dalle imposizioni burocratiche, ha costretto a scappare verso le campagne francesi, zone depresse dove arrangiandosi con l’orto di casa, gli alberi da frutta, il pollaio, i negozi meno cari, l’arte di riparare utensili e strumenti senza dover comprarne di nuovi, si cerca di far quadrare il bilancio familiare. La scintilla che ha acceso la protesta è stata, accanto all’escalation del prezzo del barile del petrolio in ascesa, l’impennata delle tasse su gasolio (+14%) e sulla benzina (+7%) legata appunto alla cosiddetta transizione ecologica, l’insieme di norme per rottamare il parco autoveicoli, un cambiamento forzato a colpi di tasse, troppo oneroso e mal digerito, che la gente vive come un insulto. Aggiunte agli aumenti delle imposte sul gas, sul tabacco, e agli alti e bassi della CSG (i contributi sociali in busta paga), gli incrementi hanno avuto un impatto negativo sul potere d’acquisto, già ridotto al lumicino.