Venerdì 20 Dicembre 2024
LUCA BOLOGNINI
Esteri

Ghosn: "La fusione Fca-Renault? Bloccata dal mio arresto"

L'ex amministratore delegato racconta la sua verità dopo l'evasione da film dal Giappone: "Se fossi rimasto a Tokyo sarei morto. Là non c’è giustizia per gli stranieri. Non ho venduto i diritti della mia storia a Netflix"

Carlos Ghosn parla ai giornalisti (Ansa)

Beirut, 9 gennaio 2020. No Carlos Ghosn, no party. Lo sa bene, almeno stando a quanto ha raccontato ieri l’ex ad di Nissan-Renault fuggito dal Giappone, anche Fca. «Il gruppo Fiat-Chrysler e Renault dovevano proseguire i negoziati nel gennaio del 2019 per l’accordo di fusione, ma – ha detto il manager durante una conferenza stampa show a Beirut – sono stato arrestato e tutto è saltato».

L’amministratore delegato finito nei guai nel Sol Levante per operazioni finanziarie ritenute illecite non ha rivelato i dettagli del diabolico piano messo a punto per eludere la sorveglianza della polizia nipponica. «E non ho firmato – ha puntualizzato – alcun contratto con Netflix per trasformare la mia storia in un film o una serie tv». Davanti a un pubblico di circa 150 giornalisti scelti meticolosamente dal suo team di comunicazione – peraltro molte testate giapponesi non sono state ammesse all’incontro – Ghosn ha spiegato di non aver avuto «altra scelta» se non quella di fuggire di fronte ad accuse che ritiene del tutto infondate. «L’arresto – ha commentato – mi ha colto di sorpresa. Un po’ come gli americani a Pearl Harbor». 

E poi ha puntato il dito contro il suo vecchio datore di lavoro. «Assieme alla giustizia giapponese Nissan ha orchestrato una campagna e un complotto contro di me». L’ex ad, secondo la sua versione, sarebbe stato fatto fuori perché visto come primo responsabile della presunta crescente influenza della francese Renault sulla Nissan. «Sono stato tradito dal Paese che ho servito per 17 anni», è sbottato Ghosn riferendosi al Giappone. 

Anche il trattamento che gli hanno riservato le forze dell’ordine nipponiche non è stato dei migliori. «I poliziotti mi hanno detto: ‘Le cose peggioreranno per te se non confessi’. Non mi hanno permesso di vedere nessuno per giorni interi e – ha detto – gli interrogatori erano giorno e notte, senza pause. Perfino le medicine mi erano proibite».

La fuga dal Giappone in Libano «è stata la decisione più difficile e rischiosa della mia vita». Una scelta del genere, ha aggiunto, «non si fa a cuor leggero», ma «non ho avuto altra scelta che proteggere me stesso e la mia famiglia. Avrei rischiato di dover aspettare 5 anni per arrivare a una sentenza. Sono giunto alla conclusione che sarei morto in Giappone, se non fossi fuggito. Sono scappato da un sistema dove la possibilità di essere condannato è del 99%, ed è ancora maggiore per gli stranieri».