Roma, 13 maggio 2024 – Quella in atto in Georgia è qualcosa di più di una protesta. Ci spiega che una parte di mondo è cambiata e che l’Unione Europea, intesa come istituzioni e società civili, non lo ha ancora capito. Da un mese, nelle strade delle maggiori città del Paese, in primo luogo della capitale Tbilisi, decine di migliaia di persone stanno scendendo in piazza contro una legge che si avvicina pericolosamente a quella adottata in Russia: la legge sui cosiddetti agenti stranieri. Tecnicamente, si vuole impedire a investitori stranieri di detenere più del 20% di imprese editoriali e in altri settori produttivi. Praticamente, il provvedimento è stato visto da una parte della popolazione come un tentativo protezionista, per mettere al riparo la Georgia da tutti gli input positivi che deriverebbero da una maggiore apertura verso l’esterno.
Per le strade di Tbilisi, in questi giorni, si respira un’atmosfera ai limiti del surreale, dove la popolazione manifesta con in mano la bandiera europea, per fare capire che di quella contaminazione ha bisogno, e un governo, sulla carta filo-europeo, guidato dal Partito Sogno Georgiano, che ha avviato un cammino verso Bruxelles, ma che, dall’inizio della guerra in Ucraina, ha mantenuto con Mosca rapporti molto ambigui. Presa di distanza da una parte, ma dall’altra l’impegno a triangolare merci vietate dalle sanzioni e allo stesso tempo il rimpatrio forzato di persone sgradite al Cremlino e su cui Mosca voleva mettere le mani.
Le migliaia di persone che scendono in piazza a Tbilisi stanno lanciando un grido di aiuto e allo stesso tempo di allarme. Si può entrare in Europa perché mossi da sentimenti sinceri o di convenienza. Il popolo georgiano ha dimostrato di essere molto più maturo di chi lo governa. Adesso il problema è passare dalla piazza alla rappresentanza politica.