Roma, 15 gennaio 2025 – Un primo passo verso la pace, da accogliere con speranza e con tutte le cautele del caso. Uno sforzo diplomatico a cui sta partecipando anche l’inviato del presidente eletto Donald Trump, che non vuole iniziare il mandato con un Medio Oriente in fiamme e che in campagna elettorale ha promesso la conclusione delle guerre in corso. Alla de-escalation potrebbe essere pronta a contribuire anche Teheran e proprio oggi il presidente Pezeshkian rilascerà un’intervista alla tv americana Nbc. Valeria Talbot, direttrice del desk del Medioriente e del Nord Africa dell’Ispi, parla di “cauto ottimismo” per la fine del conflitto e il futuro della regione.
Si è finalmente riusciti a raggiungere in sostanza una tregua. Quanto potrà reggere?
“Conosciamo la regione, conosciamo la situazione, sappiamo che ci può essere dall’una o dall’altra parte un passo che può far venir meno tutto quello che stiamo dicendo. Ad ora prevale un cauto ottimismo”.
Qual è stato il game changer che ha reso possibile questo risultato?
“Sicuramente a smuovere la situazione ci sono state le pressioni congiunte dell’amministrazione Usa uscente e di quella entrante. Trump, prima ancora di entrare alla Casa Bianca, ha mandato il suo inviato speciale per il Medio Oriente nella regione diverse volte. Era chiaro che il presidente volesse una tregua prima del suo insediamento il 20 gennaio e questa è stata una leva importante. Si tratta di un’amministrazione che avrà a che fare con il Medio Oriente per i prossimi quattro anni. Ma lo stesso discorso vale anche per il premier israeliano, Netanyahu”.
Ammettiamo che la tregua regga, cosa succederà dopo?
“Si dovrebbe entrare in una fase di cessate il fuoco permanente. Ma, a quanto si comprende, questo è lo scoglio più grosso, perché Israele chiede il rilascio di tutti ostaggi. Dall’altra parte, Hamas condiziona la liberazione di tutte le persone sequestrate alla cessazione delle ostilità. Hamas ha un leader de facto che è Mohammad Sinwar, fratello minore di Yahya Sinwar, ucciso da Israele e di cui Tel Aviv non vuole restituire il corpo”.
Come potrà essere la convivenza fra le due parti?
“Credo che per rispondere a questa domanda in modo esaustivo bisogna prima capire con chiarezza quali saranno gli equilibri interni all’organizzazione, quanta presa avrà questa nuova leadership sul movimento e quanto Israele consentirà che Hamas continui a giocare un ruolo sul territorio”.
L’Iran ha una parte importante in questo conflitto regionale. Oggi il presidente, Masoud Pezeshkian, rilascerà un’intervista definita ‘cruciale’ all’emittente americana Nbc, dopo che gli Stati Uniti hanno acconsentito alla liberazione dell’ingegnere Mohammad Abedini da parte dell’Italia. Sarà un messaggio per una de-escalation nella regione?
“Da quando è stato eletto, Pezeshkian ha avuto un atteggiamento di apertura e dialogo. Va ricordato che fa parte dell’ala riformista nel Paese e nel suo discorso di insediamento ha parlato chiaramente della volontà di dialogare con l’Occidente. Bisogna poi tenere conto del fatto che negli ultimi mesi c’è stato un ridimensionamento del ruolo dell’Iran nella regione e del suo asse della Resistenza. Ci si può aspettare la continuazione di questo atteggiamento anche per evitare un ulteriore isolamento dell’Iran nella regione”.