Roma, 10 maggio 2024 – A Gaza vige la legge del più forte. Miseria, morte e distruzione fanno da sfondo a dinamiche sociali mutilate dalle bombe israeliane. Nel dopoguerra, quando finalmente arriverà, non basterà ricostruire strade e palazzi. Da trent’anni in quella terra disgraziata opera la Ong italiana WeWorld, di cui Flavia Pugliese è direttrice regionale per il Medio Oriente.
Pugliese, come descriverebbe Gaza a sette mesi dall’inizio del conflitto?
"Parlano i numeri: 35mila morti, 7mila feriti. È una catastrofe".
Cosa manca?
"Tutto. In particolare l’acqua potabile. Per gli altri usi ogni abitante della Striscia ha a disposizione in media 4 litri di un’acqua salina che fa male all’organismo, comunque pochi rispetto ai 25 di cui usufruiva prima della guerra".
Quanto al cibo?
"Carne, pesce e verdure non esistono".
Cosa mangiano gli abitanti della Striscia?
"Solo alimenti in scatola. Quantità insufficienti, tanto che un milione di persone è denutrito".
Sanità e scuole funzionano?
"Sono operative solo 11 strutture sanitarie. Da tempo non arriva corrente e i generatori sono alimentati dai combustibili, dei quali sono rimaste scorte per far funzionare gli ospedali solo 48 ore. Le scuole? Le poche rimaste in piedi sono usate come rifugi. Il percorso scolastico di un milione di minorenni è stato bruscamente interrotto".
A Gaza City il 60% delle case è stato distrutto, l’80% delle strutture commerciali non è operativo. Le altre zone urbane sono comunque dominate dalle macerie. Come si svolge la vita quotidiana?
"Gaza City non esiste più, è una città vuota. A Khan Younis le infrastrutture sono inservibili. In generale manca denaro, impossibile prelevare cash. Chi ha ancora un po’ di contanti li usa come mezzo di scambio. L’inflazione è enorme: un chilo di farina costa tra i 20 e i 25 euro, un litro di benzina 25 euro".
Quali sono le fasce di popolazione più colpite da questo conflitto?
"Le persone con disabilità, che rischiano di essere tagliate fuori dall’accesso agli aiuti umanitari, l’unico mezzo di sostentamento. Gli anziani, perché le cure e i medicinali di cui avrebbero bisogno non vengono erogati. I bambini, spesso separati dalle famiglie. Si contano 17mila minorenni non accompagnati; un milione quelli che hanno bisogno di supporto psicologico. E poi ci sono le donne, particolarmente esposte in una fase così drammatica".
In quali condizioni vivono le donne di Gaza?
"Laddove 1,5 milioni di persone vivono ammassate nelle tende dei campi profughi la privacy non esiste. C’è una latrina ogni cento persone. Mancano i pannolini per i bimbi e gli assorbenti, la gestione del ciclo mestruale è molto difficile. In questa promiscuità violenze e abusi sono aumentati, anche perché le protezioni familiari sono venute meno".
In una situazione di questo tipo chi si occupa di gestire l’ordine pubblico?
"Il diritto non esiste, regna il caos. La popolazione si sta auto-organizzando creando comitati per la gestione delle attività giornaliere, ma la situazione è fuori controllo. È molto semplice prendere il potere in un settore specifico e gestirlo in maniera dispotica".
Quali sono le conseguenze delle continue evacuazioni da una parte all’altra della Striscia?
"Sicurezza, cibo e cure non vengono garantiti. Ci si sposta su strade contaminate da ordigni inesplosi, le condizioni sono precarie e inaccettabili".
Come funziona la distribuzione degli aiuti umanitari?
"Le consegne sono condizionate all’autorizzazione delle autorità israeliane. I beni, acquistati in Egitto, vengono fatti passare dai valichi di Rafah e Kerem Shalom, chiusi in maniera arbitraria dall’esercito dello Stato ebraico. Così i camion delle organizzazioni possono attendere da sei ore a giorni interi prima di passare, e ogni giorno in più è un costo. Una volta a Gaza, i beni sono stoccati nei depositi e distribuiti in maniera caotica con ogni mezzo di trasporto. Sempre che prima non vengano saccheggiati".