Domenica 18 Agosto 2024
LORENZO BIANCHI
Esteri

Guerra a Gaza, il procuratore militare: "Il diritto internazionale è debole contro le stragi. Ma indignarsi non basta"

De Paolis: nei processi penali la responsabilità è personale e non di uno Stato. "Tutele difficili se certi Paesi continueranno a non riconoscere la Corte dell’Aja"

C’è stata un’altra strage, 18 persone di una stessa famiglia uccise a Gaza. Per quali ragioni la Comunità internazionale non può fare nulla in questi casi? Lo spiega Marco De Paolis, 65 anni, procuratore generale militare presso la Corte militare d’appello di Roma: "Nei processi penali la responsabilità è personale e non di uno Stato. Sono i singoli soggetti che debbono essere giudicati. Nel caso del procedimento aperto alla Corte penale internazionale, infatti, sono cinque persone a essere indagate: tre di Hamas e due israeliani, il premier Netanyahu e il ministro della difesa Gallant".

Marco De Paolis
Marco De Paolis

Quindi nel caso specifico?

"La strage è stata presumibilmente eseguita nell’ambito di una operazione militare condotta dai militari. Si dovrebbe pertanto accertare quale reparto o organizzazione militare in concreto l’ha pianificata ed eseguita. Allo stato, da un punto di vista penale, non è possibile stabilire se vi siano altre responsabilità".

Potrebbe esserci una responsabilità di organi di governo?

"Se fosse provato un coinvolgimento diretto dell’autorità di governo, nel senso di una specifica autorizzazione o una direttiva governativa nell’operazione, allora si potrebbe ipotizzare una responsabilità analoga a quella contestata dal procuratore della corte penale internazionale Khan. Naturalmente, sempre nel quadro delle competenze di quella corte".

Quindi chi dovrebbe essere il giudice?

"Dipende. Teoricamente può essere anche lo stesso giudice nazionale, cioè Israele. O quello dello Stato cui appartengono le vittime, cioè quello palestinese, ma questo è praticamente impossibile. Più attendibilmente, benché assai poco probabile in questo attuale contesto, un organismo di giustizia internazionale. Quest’ultimo caso potrebbe essere aggiunto ad altri precedenti, però mi pare difficile. In ogni caso il procuratore generale della Corte penale internazionale Karim Khan potrebbe aggiungerlo all’accusa di maggio o ad altri episodi passati".

Con effetti nulli?

"Israele non riconosce la Corte penale internazionale e non ha accettato neppure la giurisdizione della Corte internazionale di giustizia che giudica le controversie fra Stati. Ho letto i commenti su episodi precedenti, la strage dei quaranta morti, i raid su una scuola e su un ospedale, le dichiarazioni del governo inglese, di quello francese e degli Stati Uniti, tutte poco efficaci. Siamo lontani da una tutela concreta dei diritti umani".

C’è anche un altro organismo che ha tentato un’iniziativa di condanna. È la Corte internazionale di giustizia dell’Onu.

"Le Nazioni Unite il 19 luglio hanno chiesto un parere alla Corte internazionale di giustizia sulle conseguenze legali della violazione del diritto del popolo palestinese alla sua autodeterminazione e sull’occupazione della sua terra a partire dal 1967. La Corte internazionale di giustizia ha risposto che l’occupazione, in sostanza il fondamento del conflitto, è illegale e l’ha stigmatizzata".

Un’altra presa di posizione che assomiglia a un documento del tutto platonico.

"È platonico fino a quando le potenze mondiali, i Paesi del G 7, la Russia, la Cina e l’India continuano a considerarlo tale. Per le potenze mondiali al momento è un diritto riconosciuto solo sulla carta. È evidente che il diritto internazionale è debole. Penso al precedente del mandato di cattura internazionale contro il presidente russo Vladimir Putin. Ha suscitato moltissime critiche. È stata una reazione squisitamente politica che, certamente, non ha aiutato l’azione della Corte Internazionale di Giustizia".