Roma, 23 ottobre 2023 – Acqua , elettricità, pane e benzina. Tra i due milioni e mezzo di abitanti della Striscia di Gaza, dopo quasi 5mila morti (1.750 bambini) e 16mila feriti, la lotta quotidiana per la sopravvivenza si fa sempre più dura. Per assicurare il necessario alla popolazione dovrebbero arrivare 100 camion di aiuti al giorno. Sabato appena 20. Ieri, teoricamente, 17. Mai visti, protesta l’Onu. E solo 6 le autocisterne di carburante ( scrive l’Afp).
Niente carburante
La benzina per auto è un miraggio salvo che per le élites al potere, e così sulle strade verso il sud della Striscia, specie a Khan Younes e attorno al valico di Rafah, riappaiono asini e carretti. Ma il carburante serve anche ad alimentare i generatori autonomi. A questi ritmi, secondo l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa), la Striscia è destinata a rimanere senza carburante entro tre giorni.
Le riserve di Hamas
Hamas ha i suoi depositi (anche sotterranei) al servizio della lotta armata. "Ha ingenti quantità di diesel", sostiene l’esercito israeliano. La città sembra avere un altro destino: più va in crisi, più rafforza la narrazione dei teorici del martirio. Non è il desiderio della gente comune. Quella che vaga per le strade con mezzi di fortuna e vecchie biciclette arrugginite. Oppure a piedi. O con un materasso cencioso sopra la testa. Pur di allontanarsi dal Nord della Striscia, target annunciato dell’aviazione israeliana.
Distrutta una casa su due
Il 42% delle case civili di Gaza (dato Onu) oggi è distrutto o danneggiato. E non c’è un solo luogo in tutta la Striscia in cui ci si possa sentire davvero al sicuro. Come ben sanno i 19 italo-palestinesi che la Farnesina intende tutelare.
“Senza carburante, non ci sarà acqua, né ospedali e panifici funzionanti. Senza carburante, gli aiuti non raggiungeranno molti civili in disperato bisogno. Senza carburante, non ci sarà assistenza umanitaria", chiarisce le prospettive immediate il commissario generale dell’Unrwa Philippe Lazzarini.
I morti dell’Onu
L’agenzia Onu, pur provata dai 29 morti nel proprio organico causati dai bombardamenti israeliani, si sforza di assicurare almeno il pane. Con il trasferimento di farina e combustibili dai magazzini del sud della Striscia a 7 fornai di Rafah e a 7 di Khan Yunes.
Prezzo politico: 4 shekel (un euro) per 50 pite – il pane arabo.
Ospedali ko
Senza carburanti, già dieci ospedali non sono più operativi (e 23 ambulanze sono a pezzi). Altri 7 ospedali, secondo Actionaid, appaiono al collasso. Unicef e Oms chiedono di fermare l’assedio alla Striscia: "Gli ospedali sono sovraccarichi di feriti. I civili hanno sempre più difficoltà ad accedere alle scorte alimentari essenziali. Le persone vulnerabili sono quelle più a rischio e i bambini muoiono a un ritmo allarmante, vedendosi negare il diritto alla protezione, al cibo, all’acqua e all’assistenza sanitaria". In caso di interruzione elettrica, 120 neonati in incubatrice sarebbero a rischio.
Intanto, secondo la Cnn, nelle famiglie sta diventando un’abitudine scrivere le generalità a pennarello sulle gambe di tutti i bambini: per poterne identificare più facilmente i cadaveri, nel caso di raid aerei. La situazione è davvero grave, se anche il segretario di Stato americano Antony Blinken, parlando alla Nbc, chiede a Israele di ripristinare le ordinarie condotte d’acqua. "Gli impianti di desalinizzazione devono essere riaccesi – è l’invito – per garantire che l’acqua potabile a Gaza sia pulita", evitando "la diffusione di malattie". Primo pericolo la diarrea.