Lunedì 7 Ottobre 2024
VIVIANA PONCHIA
Esteri

Gaza 12 mesi dopo: “Tra le macerie senza cibo e acqua”. La cooperante: un popolo annientato

Flavia Pugliese della Ong WeWorld: serviranno 10 anni per rimuovere i detriti, 40 per ricostruire. “Mancano i medicinali, quasi 2 milioni di persone ammassate nelle tende. Sono saltati i legami familiari”

Roma, 7 ottobre 2024 – Ci vorranno dieci anni solo per togliere le macerie. Non ne basteranno quaranta per la ricostruzione. Gli attacchi aerei israeliani hanno lasciato sulla Striscia più di 42 milioni di tonnellate di detriti, abbastanza per riempire una fila di camion da New York a Singapore. La rimozione del trauma dei 42mila morti, tra i quali 17mila bambini, non consente una prognosi. Flavia Pugliese, responsabile regionale Medio Oriente per WeWorld, continua l’impegno che la sua Ong garantisce in Palestina dal 1992. E ricorda che i bombardamenti sul Libano non hanno messo in stand by Gaza.

Una bambina palestinese ferita tra le macerie del villaggio di Deir Al-Balah, uno dei primi ad essere colpiti dai raid di Tel Aviv
Una bambina palestinese ferita tra le macerie del villaggio di Deir Al-Balah, uno dei primi ad essere colpiti dai raid di Tel Aviv

Pugliese, cosa resta un anno dopo?

“Diecimila persone ancora sotto le macerie. Un milione e 700mila ammassate nelle tende in una zona grande come un francobollo. Le bombe che continuano a cadere e costringono a penosi spostamenti. Il nulla. La disperazione. L’assenza dei servizi minimi per vivere, dall’acqua al cibo alle medicine. Fino al 7 settembre Gaza City, una città viva e vibrante con i suoi negozi, i ristoranti aperti il venerdì sera, le passeggiate sul lungomare. Dal giorno dopo tutto cancellato, sigillato, compresso. L’apparente normalità, malgrado la follia di un luogo che da vent’anni è prigione, spazzata via”.

La linea di Israele continua a essere quella: annientare il terrorismo di Hamas rivendicando il diritto all’autodifesa. Ma è come infierire su un cimitero.

“E sono spettri coloro che abitano nei campi o nei rifugi all’interno delle scuole. A oggi nessun luogo è sicuro. Gli ordini di evacuazione si susseguono con cadenza inesorabile ogni tre o quattro giorni: scusate, dobbiamo bombardare anche lì. E noi operatori umanitari con tutta la popolazione ci spostiamo. Da essere umano mi domando quanti di quei 17mila bambini uccisi fossero pedine di Hamas”.

Profughi in fuga dal Sud della Striscia di Gaza, sullo sfondo un tank israeliano
Profughi in fuga dal Sud della Striscia di Gaza, sullo sfondo un tank israeliano

Dicono che la distruzione di Gaza non abbia precedenti nella storia dell’urbanistica. E che la ricostruzione potrebbe costare molto più di 80 miliardi di dollari.

“È stato tutto raso al suolo. Il 60% delle case non è abitabile. Il 65% delle strade non esiste più. Dei 36 ospedali funzionanti prima dell’8 ottobre ne sono rimasti in piedi 17. Ma chiariamo: non c’è luce, ogni macchinario funziona con i generatori, i generatori richiedono benzina e la benzina manca. Un circolo vizioso. Il sistema sanitario non può permettersi gli interventi di urgenza ma nemmeno le cure di routine a prescindere dalla guerra”.

Il campo profughi di Khan Younis
Il campo profughi di Khan Younis

Poi è arrivata la poliomielite.

“Considerata allarme rosso fino a qualche settimana fa, quando l’Unicef ha fatto entrare a singhiozzo dosi di vaccinazioni per arginare i danni. Ma queste cose vanno fatte con criterio e a tappeto, coprire un pezzettino è meglio di niente ma sempre troppo poco. Poi c’è anche chi ha il diabete, il cancro, una banale influenza. Manca qualsiasi medicinale di base. L’esercito ha addirittura compilato una lista di oggetti proibiti perché potrebbero essere utilizzati per altri scopi, dai lacci emostatici alle garze. E ovviamente mancano i medici, molti dei quali rientrano fra i 42 mila morti”.

Cosa bevono e come si sfamano un milione e 700mila persone?

“L’acqua potabile è inesistente, tutti i sistemi idrici erano già al collasso prima e sono stati distrutti. La distribuiamo noi, tre litri al giorno a persona. Quella non potabile è estremamente salina perché viene dal mare e il suo uso prolungato rovina i denti, la pelle, i capelli. Con il 65% delle terre agricole danneggiate frutta e verdura sono a livelli di carestia. Non parliamo ovviamente di carne e pesce fresco. Esiste solo un poverissimo mercato interno che vende cibo in scatola e gli indici di denutrizione sono a livelli estremi”.

Come si vive nei campi?

“Nel caos. Un esercito di persone compresso in tre chilometri per tre si arrende alla promiscuità. Da un giorno all’altro si sono trovate sbattute sotto una tenda senza un bagno e un letto. Mancano il sapone, gli assorbenti, le latrine per le donne esposte ad abusi e violenze. Sono saltati i legami familiari, le fortezze dei sentimenti. Si piangono padri, fratelli, mariti inghiottiti dai grandi numeri della strage. Restano solo morti da sotterrare”.