Roma, 10 settembre 2023 – Manca un pugno di ore alla fine del G20 di New Delhi, la premier ha in agenda ancora due incontri con i presidenti di Indonesia e Corea del Sud, Joko Widodo e Yoon Suk-yeol, prima di volare in Qatar. Ma gli impegni più significativi sono stati ieri: forse Giorgia Meloni non ha incassato risultati eclatanti, ma certo non registra delusioni e sconfitte.
Nella lista di nodi da sciogliere, il più impellente era l’uscita morbida dalla Via della Seta. Impossibile confermare gli accordi commerciali stretti nel 2018 dal governo Conte senza arrivare a una rottura con Biden, l’amico americano. Ovvero, lo sponsor principale della ’nuova rotta commerciale’, in chiave anti-Pechino, che unisce India-Medio Oriente-Europa tramite due direttrici, ferroviarie e marittime, varata in questa prima tranche del summit.
A preoccupare l’Italia era soprattutto la reazione cinese, la possibilità cioè di una rappresaglia economica: tanto che nell’incontro con il presidente degli Stati Uniti, Meloni aveva chiesto garanzie di copertura. Non ce ne sarà bisogno perché la conferma di quegli accordi è nell’interesse della Cina tanto quanto del nostro Paese.
Dunque niente Via della Seta, come ha chiarito Giorgia nel bilaterale con il premier cinese Li Qiang (in India al posto del presidente Xi Jinping), ma in compenso una politica di collaborazione, probabilmente robusta: il "faro" è il Partenariato strategico globale del 2004. I rapporti economici tra Italia e Cina ne usciranno appena scalfiti.
Come sempre nel secondo lavoro di ministra degli Esteri che a volte diventa il primo, Giorgia ha insistito su un tema che le sta molto a cuore: l’Africa. Per il governo è la partita di gran lunga più importante sul piano internazionale e, a onor del vero, un passo avanti c’è stato anche perché l’Unione Africana entra ufficialmente a fare parte del G20.
Non è un successo della premier italiana, l’obiettivo era prioritario per il padrone di casa, Narendra Modi, ma una convergenza di interessi è innegabile: di qui le congratulazioni di Giorgia, che vede nell’India la leadership ideale del Sud globale, al primo ministro indiano "per il successo".
Dove le cose sono andate peggio a New Delhi è proprio sul nodo che campeggiava come il più importante di tutti nell’ordine del giorno: l’Ucraina. La soluzione è all’insegna della massima ambiguità, un dire e non dire che se non accontenta nessuno, scontenta soprattutto Kiev. Il documento partorito ammonisce che "tutti gli Stati devono agire in modo coerente con gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite nella sua interezza". Quindi aggiunge che "tutti gli Stati devono astenersi dalla minaccia o dall’uso della forza, per cercare di acquisire territori contro l’integrità territoriale e la sovranità o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato". Non cita mai Mosca, anche se ci sono pochi dubbi su chi sia il soggetto di questo richiamo. E termina chiedendo "la piena, tempestiva ed efficace attuazione" dell’accordo sul grano.
"L’Ucraina è grata ai partner che hanno cercato di includere una formulazione forte nel testo. Allo stesso tempo, il gruppo dei 20 non ha nulla di cui essere orgoglioso", nota Oleg Nikolenko, portavoce del ministero degli Esteri ucraino. Sulla carta una sconfitta per la posizione italiana, schierata con i falchi atlantisti. A nessuno però è sfuggito l’abbassamento di decibel nelle esternazioni dell’Italia in materia. Non che la linea sia cambiata, ma certo le ricadute di un conflitto lungo sull’economia di tutti i Paesi europei stanno diventando sempre più preoccupanti.
Stallo anche sulla transizione energetica (si rilancia l’impegno sulle rinnovabili ma senza indicare una data per l’uscita dai combustibili fossili) e sul clima. Con Giorgia Meloni che promette di destinare all’Africa 3 miliardi nei prossimi 5 anni (il 70% del Fondo italiano ad hoc). A ben vedere l’obiettivo che si pone il governo – diventare un ponte tra l’Africa e l’Europa – resta confinato nel reame dei desideri.
Col G20 le tensioni che, all’improvviso nell’ultima settimana si sono create tra Roma e Bruxelles non c’entrano molto e tuttavia era inevitabile che gli occhi fossero puntati sulla presidente del Consiglio e sul commissario Ue, Paolo Gentiloni. "Nessun faccia a faccia", assicurano fonti dell’esecutivo. In realtà, sul tavolo europeo ci sono in ballo anche scelte più immediate: le nomine per la presidenza della Bei e per i nuovi vertici della Bce. Ufficialmente non se n’è parlato. Ma è difficile credere che la premier e il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non stiano tentando, con la dovuta discrezione, di fare il possibile per sostenere la candidatura di Daniele Franco alla Bei. Le chance sono considerate molto basse, però non si sa mai.