Fukushima è ancora nei nostri occhi. E adesso anche la giustizia giapponese ammette che il disastro era prevedibile ed evitabile e che i manager della Tepco, per risparmiare e per incapacità, non presero le misure necessarie per evitare l’incidente nucleare. Le responsabilità del disastro del 2011, che coinvolse ben quattro reattori, tre dei quali arrivaro alla fusione del nocciolo, non furono tanto del devastate terremoto e dello tsunami che ne seguì, ma dei manager della società che gestiva la Tepco. Per questo la corte distrettuale civile di Tokio ha condannato quattro ex dirigenti della Tepco – l’ex presidente Tsunehisa Katsumata, gli ex vice presidenti Sakae Muto e Ichiro Takekuro, l’ex presidente Masataka Shimizu – pagare circa 13 trilioni di yen (95 miliardi di dollari) di riscarcimento a favore di 48 azionisti, che avevano intentato causa nel 2012. La condanna è poco più che simbolica perché i manager non hanno certo a disposizione capotali del genere. la stessa associrazione dei manager Tepco copre infatti per un massiomo di 7 milioni di dollari a testa.
Quello che davvero conta è che siano stati stabiliti gli errori progettuali e gestionali che hanno portato alla tragedia. Il primo è l’abbassamento della costa dove è stata costruita la centrale dagli originari 34 metri a soli 10, il secondo la barriera di protezione a mare che si vlle alta solo 5.7 metri quando le onde di trunami attese erano superori ai 9-10 metri (e quella che colpì fu di ben 14) e il terzo e ultimo (decisivo) elemento, il fatto che i quadri elettrici e tutti i generaratori di emergenza meno uno erano nel poco protetto locale turbine che infatti finì completamente allagato lasciando i reattori senza raffreddamento, prodromo dell’incidente a catena.
Come già a Chernobyl, fu confermato che il fattore umano è uno dei punti deboli di una tecnologia delicata come quella nucleare, il cui problema numero uno restano però i costi di costruzione, come stanno dimstrando i reattori francesi EPR costruiti a Okiluoto e Flamaville: molto cari e lentissimi da costruire. La vicenda di Fukushima, a parte il decommissioning che durerà decenni, è però radiologicamente tutt’altro che finita. Tepco (con il placet dell'AIEA) infatti vuole sversare lentamente in mare, per decenni, le acque di raffreddamento, oggi ospitate in depositi temponei vicino alla centrale, che ammontano ben 1,37 milioni di tonnellate: pur filtrate dai radionuclidi, contengono comunque grandi quanità del non filtrabile trizio: 860 trillioni di bequerel. La scommessa è che siano diluite dall’oceano, e sicuramente a livello di massa oceanica così sarà, ma che accadrà ai pesci delle coste vicine? Oggi in una varietà pescata - lo scorfano nero - sono stati rilevate concentrazioni 14 volte oltre i limiti. Aggiungere trizio non farà che peggiorare la situazione.
Non è una questione di Godzilla 2.0. Non avremo i mostri marini che circolano in certe fake news, clamorosa la bufala lanciata - lui sostiene inconsapevolmente - da tal Hirasaha Hiroshi di un "pesce lupo" lungo 2 metri che si rivelò poi una foto con prospettiva alterata di un normale pesce lupo pescato sulle coste giapponesi, per nulla modificato dalle radiazioni. Quello che avremo sono pesci che lungo le coste della prefettura di Fukushima avranno livelli di radioattività molto più alti del normale, come quelli che pescati a maggio, hanno obbligato il governo giapponese a chiudere ancora la pesca nella zona. Perché la radioattività è una brutta bestia e sottovalutarla per brama di normalità rischia di produrre altri danni. Ogni incidente serio deve avere una gestione rigorosa e improntata al principio di precauzione. Figuriamoci le catastrofi.