Sembra che la comunità internazionale consideri un optional il coinvolgimento delle Nazioni Unite in un problema complesso come l’attuale emergenza che non può non avere quel consesso come luogo di confronto. La questione libica fu impostata sotto la frenesia interventista francese e c’è da augurarsi che la guerra all’Isis non sia un bis. I venti di guerra che spirano in Europa hanno bisogno di razionalità al di fuori del rumore delle bombe. Servono animo sereno e mente lucida. In questo contesto pare non appropriato il ricorso all’art. 42 del trattato di Lisbona quando invece esiste già un precedente che calza alla perfezione. In sostanza l’Europa non è in grado di guidare una coalizione. Quando gli Stati Uniti, dopo le Torri Gemelle, invocarono l’articolo 5 del Trattato Atlantico lo fecero a ragion veduta. È l’intera alleanza che deve reagire unita. Non è solo questione di opportunità il ricorso alla Nato anziché all’Europa: solo gli Usa sanno gestire la macchina in operazioni belliche asimmetriche.
E gli Stati Uniti non vanno confusi con la Nato, che infatti si è recentemente contraddistinta per l’ esercitazione Trident Juncture, impostata su uno scenario simmetrico. L’area infestata dall’Isis è altro. Ecco perché solo gli Usa sono in grado di guidare le operazioni. Bisogna inoltre decidere chiaramente l’obiettivo, compresa una risoluzione Onu che preveda una stabilizzazione di Siria e Iraq. In questo contesto c’è necessità di una intelligenza tattica più robusta che faccia capo a uomini in carne e d’ossa con il ricorso massiccio ai servizi di intelligence regionale dei Paesi della coalizione. Però alcuni di questi devono uscire dall’ipocrisia che li contraddistingue. Poi occorrerà valutare le capacità militari dei Paesi europei, deficit compresi. Un esempio viene dalla stessa Francia. Il presidente Hollande strigliò i suoi generali quando si rese conto, nelle operazioni in Mali, che dal catalogo delle forze mancava una componente fondamentale: i droni. Si dovette rivolgere agli Stati Uniti ingoiando un rospo non da poco. I droni sono fondamentali e oggi li possiedono soprattutto Stati Uniti, Italia e la Gran Bretagna. In questi preliminari i Paesi coinvolti devono sviluppare con un confronto costruttivo, senza dissapori e ritagliando per ciascuno un ruolo da svilupparsi sotto la guida degli Stati Uniti. *Presidente Fondazione Icsa