Che Francia uscirà dalle urne?
"Dovremo aspettare il prossimo 7 luglio, l’esito del secondo turno, per avere una visione completa. Certo è che alcune tendenze appaiono evidenti: e dunque possiamo dire fin da ora che avremo certamente un sistema politico molto rinnovato e inedito. Per la prima volta nella storia della quarta e della quinta Repubblica potremo avere probabilmente un partito di destra estrema o radicale che avrà la possibilità di formare un governo”.
Alla vigilia di una delle più significative e decisive tornate elettorali d’Oltralpe, è netto e senza fronzoli Marc Lazar, uno dei più autorevoli sociologi della politica francese (e italiana), professore a Sciences Po a Parigi e alla Luiss a Roma, dove insegna Relazioni italo-francesi per l’Europa, alla cattedra Bnp-Bnl Paribas.
Quali saranno i possibili soggetti o elementi di rottura del vecchio quadro politico francese?
"Quasi sicuramente avremo come primo partito la destra estrema del Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella, alleata con un piccolissimo raggruppamento di centro destra, i Républicains di Ciotti. Il secondo polo sarà costituito dal Nouveau Front Populaire, che avrà una crescita di consensi significativa rispetto ai risultati del 2022: ma bisognerà vedere chi sarà dominante nella coalizione, la sinistra radicale di France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon o i verdi, i comunisti e i socialisti. Arriverà ultimo il blocco macroniano centrale di Ensemble che sarà molto ridotto e nel quale è prevedibile un regolamento di conti dopo il 7 luglio”.
Se la destra della Le Pen avrà la maggioranza assoluta, che scenario di coabitazione avremo con il Presidente Macron?
"La maggioranza assoluta alla destra è una probabilità forte. Nel caso avesse solo quella relativa, la situazione sarà più complicata. Ma nella prima ipotesi, molto concreta, ci troveremo di fronte a una forma di coabitazione totalmente inedita. Tra Macron e Bardella, che sarà il nuovo primo ministro, comincerà una coabitazione che avrà momenti di grande tensione perché il Rassemblement National è deciso a fare riforme rilevanti e ha la possibilità di farle secondo la Costituzione. E se il presidente della Repubblica non è d’accordo l’unica cosa che può fare è chiedere al Consiglio costituzionale di verificare se il progetto è conforme alla Costituzione. È l’unica possibilità che ha”.
In questo quadro, che cosa cambierà nella politica estera e di difesa?
"La domanda riguarda un punto chiave. È in questo ambito, infatti, che si manifesterà la grande differenza con le precedenti coabitazioni nelle quali, nonostante le tensioni esistenti tra primo ministro di destra e presidente di sinistra come Mitterand o primo ministro socialista come Jospin e presidente neo-gollista come Chirac, c’era in ogni caso un accordo comune per la politica europea, di difesa e internazionale. Dietro questa impostazione c’era o c’è l’dea del champ réservé, del campo riservato: solo il presidente della Repubblica si occupa della politica estera e della difesa. Ma è una prassi non scritta. Non c’è nella Costituzione. E sicuramente Bardella e Le Pen non vorranno accettare questo schema. C’è un solo potere che rimarrà integro in capo a Macron”.
Quale?
"A Bruxelles, alle riunioni del Consiglio dei capi di Stato e di governo, andrà solo il Presidente della Repubblica. Questo potere non si può toccare, perché è previsto un solo rappresentante per Paese".
Rispetto al conflitto russo-ucraino, in ogni caso, ci sono da attendersi notevoli cambiamenti?
"Il Rassemblement National ha cambiato progressivamente posizione: da partito filorusso siamo arrivati alla condanna dell’aggressione all’Ucraina, ma Le Pen e Bardella restano confusi sul da farsi: di certo propendono per la ricerca di un cessate il fuoco e non per l’invio di truppe come vorrebbe Macron. Questo dossier sarà un momento cruciale di confronto”.
È ipotizzabile che siano destinati a rasserenarsi i rapporti con il governo Meloni?
"Dobbiamo distinguere. Oggi, sulle vicende europee, è enorme la tensione Meloni-Macron-Scholz. Mi sembra, però, che l’interesse dei due Paesi a un certo momento sarà di agire di nuovo insieme sul problema chiave del deficit e del debito pubblico. Ci sarà una realpolitik di ritorno, perché l’Italia ha bisogno della Francia e viceversa per fare blocco contro i Paesi frugali. E, del resto, è quello che ha fatto ben collaborare Meloni e Macron almeno fino a qualche settimana fa. E non escluderei che anche sulle deleghe economiche nella futura Commissione non si trovi un compromesso: la scelta per la Francia sarà di Macron e non di Bardella”.
Con Bardella, però, potrà solo andare meglio o no?
"Se ci sarà un governo Bardella, l’esecutivo italiano non dovrebbe farsi troppe illusioni sul fatto che hanno elementi in comune, ideologici e politici, e che questo si tradurrà in una maggiore facilità di rapporti. Il Rassemblement National cercherà di difendere quello che considera l’interesse nazionale. Faccio un esempio: Meloni chiede la ripartizione dei migranti. Ebbene, posso assicurare che un governo francese di destra radicale rifiuterà di prenderli. Come, d’altra parte, ha fatto Orban”.
Certo è che Macron sarebbe un Presidente più che dimezzato?
"Spesso in Italia e in Francia si pensa che il Presidente della Repubblica abbia un potere quasi assoluto. È quasi assoluto quando ha la maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale. Ma quando non ce l’ha, il suo potere è molto ridotto. Nel caso che si prospetta, dunque, potremo avere un conflitto continuo, durissimo e permanente nel corso del quale potrebbero essere richiesti molteplici interventi del Consiglio costituzionale, ma anche significativi scontri pubblici con reciproci appelli all’opinione pubblica”.
È un caso che Macron abbia evocato anche un contesto di guerra civile?
"Non ha parlato di una guerra civile immediata. Ha fatto un appello ai francesi a scegliere bene perché si potrebbero trovare in prospettiva di fronte a forme di guerra civile. Mi sembra, in ogni caso, molto irresponsabile usare queste espressioni che drammatizzano, perché la situazione è già rischiosa”.
Vede un rischio di tensioni violente?
"In caso di vittoria della destra ci saranno sicuramente tensioni nella società francese: mobilitazioni sindacali e sociali, proteste pubbliche, reazioni di intellettuali. E non escludo forme di violenza di piazza da parte di gruppetti organizzati. È una possibilità reale in un Paese caratterizzato da diversi anni, a differenza dell’Italia, da una certa propensione alla violenza. Non solo in termini di linguaggio ma anche di violenza fisica”.