
Ginnastica artistica femminile
Roma, 11 marzo 2025 – Rivoluzione nel mondo della ginnastica in Francia dove da oggi le atlete transalpine, per partecipare alle gare, non saranno più obbligate a indossare body aderenti per non incorrere nella penalizzazione di 0,3 punti (centesimi che in uno sport come la ginnastica fanno la differenza tra vincere o perdere). Le ginnaste potranno infatti gareggiare anche indossando semplici pantaloncini, un modo – secondo alcune – per alleggerire la pressione psicologica del giudizio sul corpo e non solo sull’esibizione durante la gara. Una svolta che potrebbe estendersi ad altri Paesi.
Il regolamento federale francese imponeva per le gare di ginnastica ritmica, acrobatica e artistica il cosiddetto "justaucorps", ovvero un abito aderente. In caso contrario sarebbe scattata la penalità. Risultato? Finora nessuna ginnasta ha mai indossato i pantaloncini in gara. Tutto cambia con il nuovo regolamento anti-sessista, che consente di indossare shorts sopra il body, a condizione che non superino i dieci centimetri di lunghezza dal cavallo. Una battaglia vinta dalle atlete francesi dopo i precedenti in altre Nazioni e differenti sport
Prima delle francesi sono state le ginnaste tedesche, nel 2021, ai Campionati europei e alle Olimpiadi di Tokyo, a farsi paladine della "tenuta accademica" ovvero della tuta integrale che copre fino alle caviglie perché, osservavano alcune, "in body ci sentiamo nude di fronte a spettatori e fotografi". Da allora la Federazione Svizzera di ginnastica ha anche indicato ai fotografi nuove regole per evitare foto sessiste.
Ma è soprattutto nel campo del beach volley che si è combattuta la disputa su divise e abbigliamento: nel 2012 le atlete di numerosi paesi musulmani si sono rifiutate di gareggiare alle Olimpiadi di Londra con i mini-costumi imposti dalla federazione mondiale: vinsero la propria battaglia e il regolamento fu cambiato. Le vecchie regole sui costumi degli anni '90 avevano aumentato la percentuale di pelle "esposta" e imposto divise più aderenti in modo da far crescere la popolarità dello sport tra gli uomini. Nel 2023, sulla scorta della storica modifica del 2012, si è innestata la protesta di Emilie Olimstad e Sunniva Helland-Hansen: le due atlete norvegesi imposero il loro diritto di non gareggiare in bikini e si presentarono sul campo in shorts e top "perché ci sentiamo a nostro agio e per ridurre la pressione della scelta dell'abbigliamento sulle atlete più giovani".
Rivendicazione anti-sessista, ma in senso inverso, quella delle tedesche Karla Borger e Julia Sude che nel 2021 sono riuscite a far modificare il "dress code" del torneo del World Tour in Qatar. Il regolamento imponeva magliette al posto delle canotte e pantaloni fino al ginocchio. Le due tedesche si sono rifiutate di gareggiare fino a quando gli organizzatori hanno eliminato le limitazioni all'abbigliamento delle atlete in gara.
La squadra norvegese femminile di pallamano agli Europei del 2021 ha protestato contro "l'obbligo sessista" di usare pantaloncini-slip di 10 centimetri ed hanno usato i pantaloni dei colleghi maschi. Multate di 1.500 euro hanno dato il via ad una protesta che ha coinvolto altre sette federazioni europee. Infine lo scorso anno ai Giochi di Parigi ha fatto scalpore il divieto imposto alle sportive francesi di indossare l'hijab, ovvero il velo che raccoglie i capelli: sia frutto di una libera scelta o di una imposizione, le donne musulmane spesso lo indossano in osservanza ai propri precetti religiosi. Battaglie tutte che si giocano sulla pelle delle donne e che poco o nulla hanno a che fare con il più genuino spirito sportivo.