Roma, 3 marzo 2025 – Sugli schermi televisivi passano le immagini della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che parla ai giornalisti subito dopo il bilaterale con Keir Starmer. “Il giorno prima – ricorda il ministro per gli Affari Europei, Tommaso Foti – la premier ha parlato al telefono con il presidente americano Donald Trump e, poi, in serata, ha incontrato quello ucraino Volodymiyr Zelensky”. E chi vuole intendere intenda.
Foti, abbiamo ritrovato un ruolo nello scacchiere, è questo che vuole dire?
“Basta guardare ai fatti. Quello che si è appena tenuto è il terzo bilaterale Meloni-Starmer. Mi sembra che l’Italia sia sempre più ascoltata e sempre più protagonista sulla scena internazionale”.

C’è chi la descrive in mezzo, tra due fuochi, schiacciata dal trumpismo di Salvini e l’europeismo di Forza Italia.
“La dialettica all’interno della maggioranza ci dimostra solo che non siamo una caserma. Viceversa il caos nell’opposizione sulle posizioni di politica estera mi pare evidente...”.
Dunque tutto regolare?
“Inventare i retroscena è una mossa tipica di quelle forze politiche che, in evidente difficoltà, cercano una qualche forma di protagonismo altrove. In realtà Giorgia Meloni si sta rivelando ogni giorno di più un’attrice di primo piano sulla scena internazionale, e gli unici a non accorgersene sono Elly nel paese delle meraviglie (Schlein, ndr) e Conte nell’emisfero delle stelle”.
La premier è stata comunque troppo cauta nelle dichiarazioni, dopo lo scontro tra Trump e Zelensky. Come mai?
“La politica estera, se fatta con criterio e serietà, necessita in certi momenti delicati di una discrezione particolare. Non stiamo parlando di un provvedimento nazionale, sul quale ci può essere legittimamente spazio per le tifoserie contrapposte. Qui occorre essere attori di primo piano in un mondo che sta cambiando la sua impostazione geopolitica tradizionale”.
Le immagini provenienti dallo Studio Ovale hanno in ogni caso preoccupato molti. Lei come le giudica?
“Io penso che non sia utile enfatizzare quanto è avvenuto. Non è il momento di vestire i panni degli incendiari ma dei pompieri. Occorre recuperare le ragioni che possono portare a una soluzione positiva e al ristabilire di una pace duratura”.
Né con Trump, né con Zelensky?
“Smettiamo di concepire la politica estera come se fosse una partita di calcio. Ragionare come una tifoseria non è sempre il massimo nella vita, e sopratutto non lo è in un momento delicato come questo. Di fronte a quelle immagini, perciò, più che prendere parte serve aumentare gli sforzi per aiutare gli interlocutori a ritrovare una forma di dialogo, dovremmo lavorare tutti alla distensione”.
Già, come fare?
“Bisogna recuperare le ragioni sui cui si fonda la compattezza dell’occidente. Al tempo stesso urge ritrovare una centralità nelle relazioni transatlantiche. Usa ed Europa hanno un rapporto consolidato che necessita però di essere adeguato alla situazione di oggi. Per farlo urge uscire dalla contrapposizione e chiarire, ragionare le reciproche posizioni”.
L’azione europea è ormai da tempo in mano ai singoli Stati. Ma quand’è che la Ue ha perso la sua centralità?
“Io credo che Bruxelles si sia un po’ troppo seduta su norme e direttive e abbia messo in secondo piano il suo ruolo politico. Questo non le ha giovato né sul piano industriale, né su quello internazionale. Poi, però, penso anche che fino ad ora ci sono stati dei dialoghi. Quello che conta sono i tavoli di pace, e lì l’Ue avrà la sua centralità, avendo contribuito fino ad ora in modo per nulla trascurabile a sostenere l’Ucraina aggredita”.
Manderemo delle truppe?
“Discussioni come questa non sono al momento neppure ipotesi. Prima di ragionare sul come, bisogna scrivere il capitolo uno, comma uno”.
Cosa recita?
“Tacciano le armi”.