Roma, 21 novembre 2023 – Uniformare i dati nell’Unione Europea sul numero di femminicidi è molto difficile perché non tutti i Paesi classificano i reati per genere allo stesso modo e talvolta distinguono fra omicidi perpetrati all’interno del nucleo familiare o in circostanze diverse (nel Codice Penale solo Cipro classifica il reato come femminicidio e non solo omicidio) . E poi non sempre sono a disposizione statistiche aggiornate e quindi il dato noto di 3.232 casi di donne uccise fra il 2010 e il 2021 non riporta la situazione di otto Stati membri (Polonia, Bulgaria, Irlanda, Danimarca, Belgio, Lussemburgo, Portogallo e Romania) e per questo diverge dalla cifra di 6.593 omicidi perpetrati da familiari o partner ed ex di cui parla Eurostat.
Al di là delle cifre la situazione non è molto positiva, anche se per quanto riguarda l’Italia nonostante l’enome numero assoluto di casi siamo terz’ultimi nella classifica ponderata sulla percentuale di donne morte sul totale delle stesse. All’apice c’è la Lettonia: nel 2020 ci sono stati 2,14 femminicidi compiuti in famiglia o da partner ed ex ogni 100mila donne, dato che sale a 4,09 considerando anche quelli esterni e che vede sul tragico podio gli altri due Paesi baltici, Lituania ed Estonia. I numeri sono esigui, 22 e 41 rispettivamente, ma su una popolazione di meno di 2 milioni di abitanti sono già considerevoli. La percentuale più bassa è della Grecia (0,16), poco più sopra la Svezia e poi appaiate Italia e Spagna con lo 0,38, dato ben sotto alla media europea dello 0,68. L’Italia sarebbe messa bene anche nel rapporto generale di omicidi per popolazione: 0,48, più elevato solo del Lussemburgo (0,32) ma anch’esso lontano dallo 0,89 della Ue.
In numero assoluto, il brutale primato appartiene alla Germania: nel 2020 le donne uccise sono state 225. In Italia nel 2022 i femminicidi sono stati 125 su un totale di 319 omicidi. Le donne uccise sono quindi circa il 39% rispetto al totale, con una punta al 91% se si considerano le vittime di partner o ex partner.
Ma come ci si comporta nei vari Paesi dal punto di vista legislativo? "Gli Stati europei – dice il magistrato Valerio de Gioia, consigliere di Corte d’Appello e attivo nel campo della violenza di genere – sono allineati nella legislazione per una serie di obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione di Istanbul che omogenizzano gli interventi. Ma come normativa diligente non ci sono ancora i risultati che si attendono soprattutto per quel che riguarda non tanto l’omicidio, che è un evento sotto gli occhi di tutti, ma la violenza o i maltrattamenti, che avvengono spesso dentro le mura di casa.
L’unico Paese ad avere un testo unico sulla violenza di genere è la Spagna che il 28 dicembre 2004, sotto il governo Zapatero, ha votato la Legge Organica. Spero che il modello spagnolo venga adottato da tutti. L’Italia dovrebbe farlo con il Codice Rosso, la legge Roccella che sarà votata molto presto in Parlamento. Sarebbe un passo avanti essenziale, necessario per ogni tipo di reato che riguarda la donna e soprattutto perché possa essere protetta da quella violenza economica spesso grave quanto quella fisica".
Quel che pone l’Italia nelle retrovie sono i processi che esulano l’omicidio. "Il numero più alto viene celebrato nei Paesi del Nord Europa – spiega de Gioia –, ma non perché lì ci sia più violenza, ma perché le denunce delle donne sono di più: in Svezia o Danimarca chi viene violata denuncia, da noi questo troppo spesso non avviene e ciò è sconfortante: bisogna sollecitare a farlo. La giustizia deve ridare fiducia alle donne. E i processi devono durare di meno: i nostri tribunali hanno carichi di lavoro molto pesanti per reati a volte ridicoli. Bisogna cambiare marcia: non si possono aspettare due anni per una sentenza di stupro. La violenza di genere si combatte anche con la rapidità di giudizio".
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