Washington, 19 luglio 2019 - "Cancellate FaceApp immediatamente, se l’avete già usata". È l’allarmato input che arriva dagli Stati Uniti. A lanciarlo, i democratici americani che caldeggiano l’intervento dell’Fbi e hanno ‘invitato’ i membri delle campagne elettorali per le primarie a non usare l’applicazione gratuita del momento. Già, proprio quella che invecchia le foto e che ha innescato, nei giorni scorsi, una vera challenge (sfida) tra decine di vip e milioni di persone comuni, pronte a condividere le loro immagini con 30-40 anni in più (e non solo, perché i filtri con cui ritoccare le foto sono diversi), sollevando però molti dubbi tra gli esperti di privacy.
Il motivo di questi timori è sostanzialmente che l’app è stata sviluppata da una società con sede a San Pietroburgo, Wireless Lab, fondata da Yaroslav Goncharov, così, per dirla con le parole usate nel tweet del leader dem al Senato, Chuck Schumer, "è profondamente preoccupante" che i dati personali di cittadini Usa possano finire nella mani di una "potenza straniera ostile". da qui l’appello all’Fbi e alla commissione federale per il commercio (Ftc) ad avviare delle indagini. Dunque, "non è chiaro quali siano i rischi, ma sono chiari i benefici di evitare l’app", è la sentenza dei democratici. I quali, nel 2016, sono già stati scottati, se si pensa l’attacco hacker che ‘ostacolò’ la candidatura di Hillary Clinton alla presidenza. Le precisazioni arrivate dalla Wireless Lab - che spiega come la maggior parte delle foto venga cancellata entro 48 ore, e assicura che i dati non saranno venduti ad altri (né ci sono prove che siano mai stati ceduti)– non hanno tranquillizzato tutti.
Il vero punto debole debole di Faceapp, secondo Francesco Capparelli, docente di cybersecurity all’Istituto italiano per la privacy, è che le regole a cui si chiede di aderire scaricando l’app (contenute nella ‘privacy policy’), "sono ferme al 2017. Mentre la normativa europea Gdpr, approvata un anno fa, obbliga lo sviluppatore a informare di cosa farà coi nostri dati chiunque tratta di dati di cosa ci farà, per quanto tempo li conserverà, a chi li comunicherà e se li trasferirà fuori dall’Ue". Ma Faceapp, appunto, ne resta fuori. E dove finiscono i dati che facciamo ‘invecchiare’ con i filtri? "È una sorta di triangolazione - spiega Capparelli –: le immagini partono dal nostro smartphone, arrivano in Russia, e rimbalzano negli Stati Uniti. Non è un trattamento illegittimo di per sé, la scelta l’abbiamo fatta aderendo alla privacy policy. Il rischio è l’utilizzo di questo database".
Ecco, che cosa ci si può fare con milioni di volti? "Paragoniamo l’intelligenza artificiale a un bambino che non conosce il mondo - osserva Capparelli –. Per sviluppare le potenzialità della rete neurale bisogna farle vedere tutto: le nuvole, la mucca, la mela, eccetera. Si chiama ‘data annotation’, gli assistenti vocali lo fanno registrando la nostra voce, per esempio. Il database che viene creato, poi, può essere utilizzato per svariati scopi". Tutto è gratis, insomma, ma nulla lo è. "Proprio così - chiude il docente di cybersecurity -. Una carta d’identità rubata sul dark web vale 3 euro e mezzo, niente. Sono i big data raccolti tramite strumenti come le app e i motori di ricerca che fanno girare l’economia. Oggi è l’egocentrismo che vince, e manca la consapevolezza tra gli utenti".