Roma, 10 marzo 2025 –Viviamo un’inedita fase di conflitti internazionali: alle terribili guerre in Ucraina e in Medio Oriente si assommano le tensioni interne all’Occidente, fra la nuova Presidenza Usa e gli alleati europei. Queste inedite tensioni, in poche settimane, hanno, però, prodotto anche altri cambiamenti, hanno avviato nuove e più strette collaborazioni fra Gran Bretagna e Europa continentale al di là di Brexit e stanno spingendo la Germania a mutare alcuni suoi tradizionali pilastri di politica economica fortemente contrari ad investimenti con debito pubblico nazionale ed europeo. Tutto ciò sta ora convincendo l’Unione Europea ad assumere decisioni più economicamente innovative e coraggiose, dopo quelle importantissime degli anni del Covid, per cospicui investimenti europei per il rilancio dello sviluppo e dell’occupazione, oltre che della difesa. Fin quando la Ue e la Germania non avranno assunto le loro nuove decisioni strategiche, l’economia europea, e quella italiana in particolare, debbono operare in un quadro di complessità, facendo i conti con i presenti fattori economici e finanziari.

Il costo dell’energia, gravoso soprattutto per l’Italia, nonostante gli sforzi da qualche anno in atto, è il principale appesantimento dell’economia produttiva. Venerdì scorso il prezzo del petrolio era attorno ai 70 dollari, mentre quello del gas, al mercato di Amsterdam, è stato inferiore ai 40 euro, quando circa un mese fa si era avvicinato addirittura ai 60 euro, certamente lontano dalle più elevate punte degli scorsi tre anni, ma tuttora superiore alle medie degli anni antecedenti la guerra russo ucraina. L’elemento più problematico è l’incertezza prospettica dei prezzi dell’energia nei prossimi mesi ed anni: questa incertezza rallenta i progetti industriali di investimento. Ciò è evidente quando si constata che la produzione industriale è in calo in Italia da circa due anni, penalizzata anche dalla crisi economica in Germania, ma non solo. I tassi di interesse si sono, invece, nettamente ridotti: la Bce li ha fissati fra il 2,50% e il 2,65%, quando in Usa e Gran Bretagna sono ancora al 4,5%, 21% in Russia, 6,25% in India, 42,5% in Turchia, 29% in Argentina, e comunque superiori ai tassi Bce in gran parte dell’Europa non Euro e del resto del mondo. I tassi di mercato hanno a lungo anticipato le riduzioni della Bce ed ora attendono di capire le evoluzioni delle tensioni internazionali. Il Pil dell’Eurozona, dopo la forte ripresa post Covid, è tornato negli ultimissimi anni ad incrementi medi dello zero virgola. Lo spread fra titoli di Stato italiani e bund tedeschi a dieci anni è attorno ai cento punti base, un livello ridotto dovuto alla tenuta dell’economia italiana e alla debolezza di quella tedesca. Ma i rendimenti dei titoli di Stato con scadenza molto più breve, a sei mesi, evidenziano dati diversi: quelli italiani rendono il 2,34%, mentre hanno rendimenti uguali o più elevati quelli analoghi di Francia, Belgio, Spagna ed altri, mentre quelli britannici sono più alti, al 4,4%. Insomma, l’Italia attira più fiducia a breve termine che a dieci anni.
Le entrate tributarie in Italia nel 2024 sono cresciute del 6,2%, di ben 35 miliardi di euro, con aumenti di 14 di Irpef (persone fisiche), quasi 6 di Ires (società), 8 su interessi e altri redditi di capitale, quasi 6 di Iva, 2 da bollo, con cali in altre voci. Il dato più positivo è che l’Italia è il primo grande Stato, e unico del G7, che è tornato ad avere un avanzo primario nel 2024, cioè una spesa, esclusi gli interessi passivi, inferiore alle entrate fiscali. La palla al piede dell’economia italiana è il debito pubblico le cui prossime emissioni, con la riduzione avvenuta dei tassi, dovrebbero però essere meno gravose. Quindi luci ed ombre caratterizzano l’economia italiana in attesa della fine dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente e delle decisioni strategiche della Ue e della Germania.
*Presidente Associazione Bancaria Italiana