Le tensioni tra Londra e Mosca che crescono. Gli hacker russi che mettono nel mirino la presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, e soprattutto l’accordo raggiunto a Bruxelles per l’uso dei proventi provenienti dal congelamento degli asset della banca centrale russa: un accordo che porterà almeno 3 miliardi di euro all’anno per consentire all’Ucraina di comprare armi per difendersi.
In primis lo scontro tra Gran Bretagna e Russia raggiunge il calor bianco. Dopo la dichiarazione del ministro degli Esteri Cameron che dava disco verde agli ucraini per l’utilizzo delle armi di provenienza britannica anche verso la Russia, Mosca hanno subito promesso ritorsioni contro le basi britanniche. E Londra non ha gradito.
Ieri il Ministero dell’Interno britannico ha espulso un attaché per la difesa russo in quanto "era in realtà un ufficiale dell’intelligence militare non dichiarato". Un classico in molte rappresentanze diplomatiche, non solo in quelle russe, ma la risposta britannica sarà ben più ampia. "Rimuoveremo – ha annunciato il ministro degli Interni, James Cleverly, intervenendo in Parlamento – lo status di sedi diplomatiche da diverse proprietà russe nel Regno Unito, tra cui Seacocks House, una proprietà russa nel Sussex e la sezione commerciale e di difesa a Highgate, che riteniamo siano state utilizzate per scopi di intelligence. E stiamo imponendo nuove restrizioni sui visti diplomatici russi, incluso un limite al periodo di tempo che possono trascorrere nel Regno Unito". Mosca ovviamente lo aveva messo nel conto e i suoi hacker, parte della “guerra ibrida“ in atto contro l’Occidente, continuano ad operare. Martedì gli hacker filorussi del gruppo “No name“ hanno rivendicato nuovi attacchi cyber contro siti italiani come quello di alcuni Ministeri italiani e il sito personale della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni (che ieri ha visto il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, il quale l’ha ringraziata per il prossimo invio di un sistema missilistico Samp T all’Ucraina e ha discusso del prossimo vertice Nato). E ieri è stata la volta del sito della campagna elettorale di Ursula Von der Leyen e della mail del partito socialdemocratico tedesco (Spd), Kevin Kuehnert.
Tra le risposte dell’Ue, anche più incisive delle espulsioni di diplomatici, c’è quella sull’uso dei proventi dei fondi russi rimasti “prigionieri“ delle sanzioni europee e in mano a società di clearing europee: parliamo di 191 miliardi di euro in titoli. Gli ambasciatori degli Stati Ue hanno raggiunto un accordo “di principio” sull’uso dei proventi derivanti dalla detenzione degli asset russi sanzionati. Si tratta di circa tre miliardi di euro all’anno che (escludendo uno 0,3% che sarà usato per pagare la gestione dell’operazione da parte dei gruppi che detengono gli asset russi congelati) per il 90% saranno utilizzati per l’assistenza militare all’Ucraina e il 10% per la ricostruzione del Paese (un criterio attuato per tranquillizzare Paesi tra cui Irlanda, Austria e Ungheria che non possono o non vogliono finanziare le armi di Kiev).
La gran parte degli asset si trova in Belgio al depositario titoli centrali Euroclear. Il Belgio tassa i proventi Euroclear al 25% (e quanto prelevato va già a Kiev). Le nuove disposizioni Ue concordate ieri si applicheranno alla quota restante dopo l’imposizione obbligatoria. Il primo dei tre miliardi potrebbe essere girato all’Ucraina entro luglio.
Alessandro Farruggia